Eppur la nostra idea… Resoconto di due giornate movimentate a Lugano.

Riceviamo e diffondiamo:

Di seguito un resoconto del tentativo di ri-occupazione del CSOA il Molino a Lugano. Di cose da dire ce ne sarebbero molte e questo testo non ha la pretesa di essere esaustivo, ma fornisce un punto di vista di chi era presente in quei momenti e se li è vissuti.

29 dicembre

Mercoledì 29 dicembre 2021, verso mezzogiorno, un gruppo di compagn* entra nel perimetro dell’ex macello nel tentativo di rioccupare gli edifici rimasti intatti dopo la demolizione della parte abitativa del centro sociale avvenuta nella notte del 29 maggio 2021.

Dopo un momento di perlustrazione, ci si rimbocca le maniche per iniziare i lavori di rimessa in sesto e di pulizia dello spazio. L’idea condivisa è di far rivivere il posto e renderlo accessibile dall’esterno e l’arrivo di una cinquantina di persone che iniziano un presidio solidale nel piazzale fuori dà la carica giusta.

Chi è dentro sale su uno dei tetti e comunica con il presidio con un megafono, da sotto arrivano cori e interventi, dei fuochi d’artificio rompono la monotonia della routine di questa grigia cittá, una bandiera con l’A cerchiata sventola sullo sfondo di montagne ticinesi innevate. Dopo tutto quello che è successo negli ultimi sette mesi, l’entusiasmo di essere riuscit* a sgattaiolare tra queste mura in pieno giorno senza essere vist* è grande e da sotto le mascherine ed i passamontagna quasi si intravedono i sorrisi delle/dei compagn*, finalmente tornat* in un luogo che per molt* per anni è stata una seconda casa.

Poco dopo, giungono sul posto un paio di camionette della polizia antisommossa di Lugano e gli agenti si schierano davanti e dietro al Molino. Nel frattempo, con il diffondersi della notizia dell’occupazione, continua ad arrivare gente al presidio, che conta ormai un centinaio di persone. A quel punto, l’idea è quella di provare a fare un’assemblea all’interno dell’ex macello in serata, cosa che in seguito verrà impedita dalla polizia antisommossa che blocca a chiunque l’accesso al centro sociale.

Sin da subito la polizia sembra impreparata a gestire una situazione che si è creata ed il nervosismo tra gli agenti è palpabile. Le loro manovre aggressive, scoordinate ed impacciate non lasciano presagire nulla di buono per le ore che seguiranno.

Verso le 18 circa, sul retro dell’ex macello, in una delle vie di accesso delle scuole del quartiere Lambertenghi, avviene una colluttazione tra alcuni agenti e delle persone solidali, che finisce con l’arresto di un compagno ed una compagna.

Il compagno viene placcato da uno sbirro che lo sbatte a terra su un terreno sterrato facendogli picchiare la testa contro un sasso. L’agente tenta l’ammanettamento schiacciandogli da prima la nuca con un ginocchio, poi con colpi sulla schiena, un tentativo di strozzamento, mettendo mani in faccia, nel naso e in fine abbasandogli i pantaloni, mentre altri due agenti lo tengono immobilizzato. La compagna viene portata via di peso da tre agenti uomini.

I due vengono portat* dapprima a Noranco fino alle due di notte, poi in via Bossi a Lugano e infine trasferit* al carcere giudiziario della Farera. Verranno rilasciat* il pomeriggio del giorno dopo con le accuse di violenza e minaccia contro le autorità e i funzionari.

Quando cala l’oscurità, le/i compagn* all’interno dello spazio tornano sul tetto per comunicare con il presidio solidale con degli interventi e un altro giro di spettacolo pirotecnico e botti. Nel frattempo, nel piazzale cresce la tensione e la polizia fa alcune cariche ferendo diverse persone, facendo uso di manganelli, spray al peperoncino, gas lacrimogeni e proiettili di gomma. Alcune persone del presidio rispondono alle cariche alla bell’è meglio con qualche lancio di bottiglie e pezzi di macerie non facendosi intimorire dalla violenza degli antisommossa.

Si crea una situazione abbastanza caotica. Molte persone rimangono intossicate dal gas e dal peperoncino, qualcun* recupera del latte per sciacquare occhi e pelle e alleviare il bruciore.

Il presidio continua con vari momenti di tensione fino all’una del mattino circa, quando le ultime persone solidali se ne vanno. Per il giorno dopo si lancia una chiamata per una colazione anti-sgombero dalle 07.00.

30 dicembre

La mattina del 30 dicembre, poco dopo le 04.30, la polizia antisommossa entra nel perimetro dello spazio aprendosi un varco con una smerigliatrice. Il piazzale e la strada davanti all’ex macello si riempiono in fretta di mezzi della polizia: quattro camionette, diverse volanti e auto in borghese. A questo punto, una decina di compagn* si trovano al primo piano della sala cinema del centro sociale, mentre due riescono a salire sul tetto ghiacciato e scivoloso che da sul lato di viale Cassarate.

Diversi agenti particolarmente agitati iniziano a spaccare un po’ di roba a caso con i manganelli nel cortile, mentre alle persone dentro lo stabile viene intimato di uscire. Dopo un breve confronto tra di loro, le persone che erano nella sala cinema escono in cortile, vengono fermate e portate fuori dallo stabile mentre un compagno ed una compagna rimangono sul tetto, dove gli sbirri non riescono ad arrivare. Arrivano invece due sbirri “negoziatori” che, saliti sul tetto sottostante, per alcune ore tentano in maniera sorprendentemente comprensiva anche se ferma, ricattatoria e “psicologicamente attiva”, di negoziare una discesa dal tetto prima del sorgere del sole, in quanto situazione scomoda, non sicura e onde evitare ulteriori problemi alla città e alle persone. Poco prima delle 07.00 permettono al vicesindaco Badaracco di salire con la gru con un pompiere per negoziare una discesa e capire la situazione.

Il vice sindaco si dice dispiaciuto per l’accaduto e lo sgombero e si dice estremamente preoccupato per la situazione di pericolo del tetto. A una certa telefona pure al sindaco Foletti per informarlo della situazione e per aggiornarlo sulle richieste fatte dalle due compagn*: la liberazione immediata di tutte le persone fermate e il recupero delle cose dall’ex macello durante alcune settimane con svolgimento delle iniziative in programma. Badaracco scende dopo una mezzoretta di infruttuose trattative, mentre i due sbirri se ne vanno delusi, dopo circa due ore, informando chi si trova sul tetto che ora “saremo noi ad assumerci le conseguenze delle prossime ore e quel che eventualente succederà”.

Dopo l’irruzione degli sbirri vengono fermate in tutto dieci persone che verranno portate nelle centrali di via Bossi a Lugano, di Bellinzona e di Locarno per degli interrogatori che per qualcun* durano fino alle 13 del pomeriggio circa. Tutt* vengono rilasciat* con la denuncia di violazione di domicilio e sommossa. Il compagno e la compagna che sono state trasferite per la notte alla Farera verranno rilasciate nel pomeriggio verso le 17.

Ad alcun* compagn* fermat* vengono prelevati il DNA e impronte digitali e scattate le foto segnaletiche, e vengono costrett* a spogliarsi integralmente per le perquisizioni. Inoltre vengono sequestrati i telefoni di chi l’aveva con sé, attrezzi vari, sciarpe, spray al peperoncino e qualsiasi oggetto che secondo gli inquirenti potrebbe fungere da prova per l’accusa di sommossa. Gli interrogatori sembrano essere stati organizzati all’ultimo minuto, con ispettori un po’ impacciati richiamati in servizio dalle vacanze per una levataccia e sprovvisti in un primo momento dei moduli per le domande, il tutto avviene con una buona dose di improvvisazione.

Appena inizia a girare la notizia dello sgombero, diverse decine di solidali danno vita ad un presidio sul lato del fiume Cassarate opposto al centro sociale, visto che la strada davanti allo stesso è stata chiusa dalla polizia. Le persone che partecipano al presidio comunicano con un megafono con la compagna e il compagno che resistono sul tetto. Slogan, cori, musica ed interventi si susseguono per tutta la mattinata.

Ad un certo punto, verso le 08.30, tentando di scendere per recuperare dell’acqua, del cibo e una coperta, nella parte sotto il tetto, il compagno – cercando di risalire la scala che porta al tetto – viene inseguito da alcuni sbirri precedentemente nascostisi nelle scale dell’anfiteatro. Arrivato quasi alla fine della scala, uno degli sbirri la butta giù violentemente e in modo maldestro, facendo precipitare il compagno da un’altezza di più di due metri e facendolo atterrare su una delle panchine da teatro precedentemente spaccate e buttate a terra dagli agenti, con le conseguenze di una costola rotta, difficoltà a respirare per alcune ore e la schiena picchiata in malomodo. Subito, nonostante le ferite e le difficoltà repiratorie, viene accerchiato e spintonato, rialzato bruscamente e poi ulteriormente spinto e strattonato giù dalle scale fino a raggiungere la sala attività, dove viene perquisito e ammanettato maldestramente. Il compagno viene poi spinto in una vettura di polizia dove uno degli sbirri incaricati cerca di affrancarlo con una cintura di sicurezza proprio sulla costola rotta per poi partire a tutta velocità e con le sirene accese sballonzolandolo malamente per tutto il tragitto. Giunto in centrale viene finalmente “preso in considerazione” e portato all’ospedale da due agenti per poi essere riaccompagnato alla centrale di via Bossi per un interrogatorio (vedi più sotto).

Intanto, le persone fermate la mattina durante lo sgombero iniziano ad essere rilasciate e si recano al presidio. Quando giunge la notizia che il compagno e la compagna incarcerate alla Farera verranno interrogate a Lugano il pomeriggio verso le 15, si decide di dividersi e un gruppetto di compagn* si reca in via Pretorio per portare un saluto solidale sotto le finestre del Ministero Pubblico.

L’ultima compagna presente nello spazio rimane a resistere imperterrita sul tetto fino alle 15 circa. Fino a quando giunge la notizia del rilascio di tutte le persone fermate il giorno prima e la mattina. Quando decide di scendere viene portata alla centrale di via Bossi e poco dopo rilasciata. A questo punto il presidio in viale Cassarate si sposta all’angolo tra via Bossi e via Pretorio con striscione e megafono. Una sessantina di persone continua qui la mobilitazione con discorsi al megafono, cori e abbracci alle compagn* rilasciat*, per poi tornare in zona Molino in corteo, dove si rimane ancora un po’ e poi ci si saluta.

Qualche osservazione sull’agire degli sbirri

Ai media, il sindaco Foletti ha avuto la faccia tosta di dichiarare che durante le operazioni di polizia non si sono registrati feriti, ma la realtà dei fatti è un’altra. A questo proposito è forse utile riportare qualche esempio di ordinaria repressione poliziesca avvenuta tra il 29 ed il 30 dicembre. La cosa non sorprende certo chi è abituat* a rapportarsi con le divise blu in situazioni di piazza, o chi per altri motivi deve affrontare la violenza poliziesca ogni giorno (per esempio perché non ha la pelle bianca o un permesso di soggiorno), e rende evidente la disinvoltura con cui il primo cittadino di Lugano si riempe la bocca di bugie.

Mercoledi sera, un agente prende la rincorsa e con le braccia dà un forte spintone ad una donna che si era avvicinata al cordone di polizia nel tentativo di calmare gli agenti, facendola cadere all’indietro picchiando la nuca. La compagna perde conoscenza; non contento, un altro sbirro la trascina dall’altra parte della strada e la alza in piedi, cosa pericolosissima quando una persona ha perso conoscenza.

La stessa sera, un ragazzo viene colpito da una manganellata in faccia e viene portato in ospedale, come pure un’altra persona che ha un attacco di asma provocato dallo spray al peperoncino e dai lacrimogeni.

Altro episodio gravissimo che contraddice la retorica patetica del voler “tutelare la vita degli autogestiti” e lo sgombero effettuato in tutta sicurezza spacciata dal Municipio e dalla polizia all’opinione pubblica, avviene il giorno 30 dicembre. Come già spiegato più sopra, in mattinata, il compagno che era sul tetto, scendendo da una scala per recuperare del cibo e dell’acqua, viene aggredito da due agenti, che di proposito tolgono la scala facendolo cadere da due metri di altezza su delle panchine di legno da loro rovesciate rompendogli una costola. Da notare che sotto quella scala per ragioni di sicurezza chi era salit* sul tetto aveva messo dei materassi per attutire eventuali cadute, mentre gli agenti hanno pensato bene di rimuoverli: è una pura casualità che il compagno non si sia ferito in modo molto più grave, fosse ad esempio caduto sulla schiena o sulla testa. Dopo la caduta, non contenti gli agenti si avventano su di lui e solo quando riesce a dire “non riesco a respirare” si rendono un minimo conto della pericolosità della situazione. Ciononostante, continuano a spintonarlo giù dalle scale della tribuna vicino all’entrata della sala attività del CSOA per poi ammanettarlo e portarlo via.

Lo Stato di polizia di cui tanto si parla continua imperterrito a bastonare e denunciare, dallo sgombero del 29 maggio, alle botte agli studenti a Villa Argentina lo scorso mese di giugno a Mendrisio, passando per i fatti di Villa Saroli a Lugano a settembre. Difficilmente sostenibile la tesi dei casi isolati, il modus operandi delle polizie ticinesi sembra abbastanza chiaro e rodato: tolleranza zero contro chiunque osi sfidare con le proprie azioni, e non solo a parole, lo status quo di un cantone sempre più a destra per quanto concerne l’amministrazione della repressione, in ambito politico, in quello della migrazione o di ordine pubblico in caso di feste “illegali”, e non solo.

Infine, da notare che il personale sanitario dell’ambulanza presente sul posto il 30 dicembre si rifiuta di far arrivare acqua alla compagna, rimasta ormai sola sul tetto da diverse ore sotto il sole, nonostante le sue richieste e i ripetuti tentativi delle persone solidali al presidio. “Non possiamo, facciamo ciò che dice la polizia” la loro unica risposta…

Dal 29 dicembre, tutta la zona adiacente al Molino viene militarizzata per dei lavori di potenziamento della messa in sicurezza del sedime dell’ex macello contro eventuali tentativi di ri-occupazione. Il pezzo di strada che va dall’entrata dei posteggi dell’ex macello fino all’USI (dal ponte di via Balestra a quello di via Madonnina) viene chiuso sia al traffico che ai pedoni, sbarrato con le reti dei furgoni della polizia e custodito giorno e notte da agenti di vigilanza e da poliziotti, armati di lancia lacrimogeni. La strada rimarrà sbarrata per una settimana e la viabilità verrà ripristinata solo nel pomeriggio del 6 gennaio.

All’interno dello spazio c’è un gran via vai di polizia e altri addetti ai lavori di muratura dello spazio. Dei camion portano enormi mattoni da accatastare per erigere dei pezzi di vera e propria muraglia nei varchi lasciati scoperti dopo il primo sgombero. Visibili dall’esterno anche dei gazebi in stile “campo base” e camionette dell’antisommossa all’interno dei posteggi. Fa sorridere che ci vogliano tutti questi mezzi per far fronte ad una decina di persone che hanno tentato di riprendersi gli edifici dell’ex centro sociale occupato. Il significato simbolico di questo muro, come quello della demolizione della parte abitativa del 29 maggio, difficilmente verrà dimenticato negli anni a venire in questo cantone.

Ruspe, manganelli e mattoni possono fermare temporaneamente dei tentativi di creazione di squarci di libertà, ma non possono uccidere degli ideali che di fronte a quest’arroganza del potere non fanno che rafforzarsi. In un contesto di restrizione sempre maggiore delle libertà di pensiero e movimento, in cui il modello securitario, patriarcale, neo-colonialista e tecno-capitalista si erige a soluzione per ogni tipo di tensione e rivendicazione sociale, è inevitabile che anche a queste latitudini la repressione colpisca sempre più duramente e senza eccezione chi si lancia con mente e corpo nelle lotte.

Sta a chi ancora non accetta di arrendersi ad una normalità in cui ogni aspetto delle nostre esistenze viene determinato dalla legge del più forte, in cui il nostro benessere viene garantito dallo sfruttamento qui ed in altre parti del mondo, a chi ancora sente nelle proprie viscere la passione per la libertà, alzare la testa, rimboccarsi le maniche e continuare a lottare…

Alla prossima!

Dal sud delle Alpi,

alcun* compagn* dalla testa dura

Lugano, gennaio 2022