Tra carogne ed avvoltoi… Autogestione è sovversione!

Fonte: Amicx di RRN (Redazione Rosso e Nera)

Recentemente, su Rete Due, la radio della Svizzera Italiana, è stato approfondito il tema degli Spazi Culturali Indipendenti in Svizzera analizzando le situazioni di Lugano, Ginevra e Zurigo.

Nella prima puntata il conduttore Enrico Bianda ha invitato l’ospite Ludovica Molo, Architetto e Presidente dell’Associazione Architetti Svizzeri che si occupa molto da vicino di questioni di politiche urbane legate all’organizzazione del territorio. Insomma una paladina della gentrificazione, della società capitalista e della cultura dominante che anzichè preoccuparsi degli spazi culturali indipendenti farebbe meglio ad occuparsi della speculazione edilizia ed i suoi conseguenti danni.

Tale paladina della gentrificazione si cimenta in una pseudo analisi completamente fuorviante sui concetti di “Spazio Culturale Indipendente” e “Centro Culturale Autonomo” citando anche l’esempio della Rote Fabrik, smentito indirettamente nel terzo servizio da Antonella Martegani, coordinatrice del quartiere 5 della città di Zurigo, che definisce “non indipendente” tale spazio in quanto fruitore di sovvenzionamenti da parte dello Stato.

Enrico Bianda sostiene la sua tesi parlando di “forme diverse di occupazioni più o meno legali, senza entrare nel merito dello specifico dell’occupazione”. È abituato ad “immaginarsi luoghi che vengono ripresi temporaneamente da associazioni che producono cultura, dopodichè qualcosa accadrà, le istituzioni o il territorio se li riprenderanno o torneranno ad essere luoghi di altro genere”. Enrico afferma poi che “fino a che non c’è pressione fondiaria la tolleranza istituzionale sembra garantire la permanenza di questi spazi, laddove gli interessi e gli orientamenti del mercato mutano cambia radicalmente l’appoggio istituzionale e prevalgono gli interessi fondiari” e “si pone anche il problema della continuità di queste esperienze in quanto non ne siamo abituati”, dice.

Il nostro caro conduttore non vuole ricordarsi minimamente di 20 anni di occupazione ed autogestione a Lugano da parte del collettivo del C.S.O.A. Il Molino.

Quella di Enrico Bianda e di Ludovica Molo, in sintesi, è una blanda richiesta di legalizzazione degli spazi occupati autogestiti con due possibili soluzioni:

1.) Situazioni temporanee: continuare a spostare le occupazioni per periodi limitati nel tempo attirando l’attenzione su determinati luoghi di interesse pubblico che sono sottoposti a pressione urbanistica e rischiano una trasformazione radicale dandoli in gestione temporanea ad un collettivo culturale con lo scopo di pensare collettivamente, insieme alle istituzioni, il futuro di questi luoghi abbandonati dalla società capitalista.

2.) Situazioni definitive: creare dei collettivi che sappiano mettere in pratica una capacità di dialogare con l’ente pubblico e con i proprietari degli immobili possibilmente acquistando l’immobile, o tramite un concorso o bando per ottenere la gestione degli spazi industriali dismessi in modo da trasformarli in “Centri Culturali Autonomi” definitivi.

Nella seconda puntata Luca Pattaroni, sociologo del Politecnico di Losanna che si occupa di politiche sociali, ha fatto semplicemente il suo lavoro raccontando la storia degli Squat a Ginevra.

La sua è un analisi riformista che quasi giustifica la repressione avvenuta al movimento squat ginevrino con il reinserimento sociale avvenuto in seguito. Quasi come se fosse un bene che dopo che gli squatter a Ginevra sono stati sgomberati e repressi duramente sia avvenuta una legalizzazione su larga scala di tutte le realtà nate come occupazioni abusive in conflitto con la cultura dominante della società capitalista.

Nella terza puntata invece, Antonella Martegani, da umile lavoratrice degli uffici comunali di Zurigo che conosce bene il proprio territorio, ha analizzato abbastanza bene la situazione zurighese senza prendere troppo posizione, o perlomeno evitando di infangare la pratica delle occupazioni.

Non è assolutamente un caso o una dimenticanza che in questo servizio delle Radio Svizzera Italiana non sia stata minimamente presa in considerazione l’esperienza del Centro Sociale Occupato Autogestito il Molino di Lugano.

Il Municipio di Lugano ha infatti recentemente approvato il concetto per una nuova destinazione dell’area dell’ex Macello attualmente in parte occupata dal C.S.O.A. Il Molino.

L’obiettivo è ristrutturare e recuperare l’area trasformandola in uno spazio vivo e aperto, in cui tempo libero, eventi e cultura si intreccino costantemente. Come se questo già non accadesse.

La prima tappa consisterà nella richiesta del credito per organizzare il concorso di architettura. Evidentemente istituzioni e mass media locali stanno gettando le basi per realizzare questo progetto con la complicità di Ludovica Molo. Il suo intervento anzichè profumare di un sano interesse per la cultura indipendente ed i centri autonomi puzza più di una carogna pronta a fiondarsi come un avvoltoio sul concorso di architettura, magari accaparrandosi il progetto con il proprio studio o quello di qualche amica.

La pratica dell’occupazione è un mezzo per liberarsi, anche solo parzialmente, dalle catene opprimenti della società capitalista tramite l’autogestione. Autogestione è la possibilità di stabilire secondo il principio della responsabilità idividuale ed il metodo dell’unanimità (non certo quello -democratico- della maggioranza), le regole della propria esistenza.

Autogestione per offrirsi la possibilità di riunificare sfere separate dell’esperienza umana: pensiero e azione, attività manuale e attività intellettuale, per riconquistare quella completezza che ci è stata sottratta dalla specializzazione delle attività imposte dalla cultura dominante.

L’autogestione è la forza prima dell’occupazione ed è la premessa indispensabile alla sua evoluzione in senso sovversivo. L’occupazione parte dalla necessità di soddisfare bisogno reali di casa – spazio espressivo – socialità – non mercificazione – estraneità alle regole alienanti delle istituzioni.

L’idea stessa di autogestione non è concepibile se non estesa a tutti gli aspetti della vita e non può accettare la reclusione tra quattro mura.

L’autogestione reclusa diventa inevitabilmente autogestione della miseria, autogestione del ghetto.

L’atto dell’occupazione di uno stabile è una forma dell’azione diretta: illegale – collettiva – condotta apertamente che porta un gruppo di individui a riconquistarsi uno spazio vitale precedentemente sottratto alla collettività dal potere.

Chi coltiva il gusto dell’avventura ed il libero scorrere delle passioni vedrà che solo attraverso la pratica continuata dell’azione diretta, saltando fuori dalle quattro mura, superando con indifferenza i confini del lecito imposti dallo Stato, riuscirà ad aprire nuovi spazi all’autogestione della propria vita al di là degli squat, ed ad infondere nuova carica alle occupazioni esistenti.

Insomma a diffondere qui ed ora la pratica dell’autogestione generalizzata.

I politicanti sono disposti a tollerare le occupazioni solo ed esclusivamente se queste hanno una loro funzione riconosciuta dal consorzio civile e se sono legittimate dalla soddisfazione dei fruitori dei loro servizi, in modo da non perdere consensi elettorali ed evitando l’accusa di tollerare situazioni estranee all’ordine vigente o addirittura nemiche dello stesso.

In poche parole, il potere scende a patti tollerando l’esistenza fisica di quattro mura da lui non direttamente concesse solo a patto che i modi e gli intenti finali provenienti dalla controparte non siano in contrasto con lo status quo; e quindi ben vengano i servizi gratuiti e volontari che sopperiscono alle lacune assistenziali dello Stato; ben vengano le opere sociali che se da una parte legittimano l’esistenza dei Centri Sociali verso il popolo, dall’altra legittimano il potere che le permette ed il suo buon governo con la cui collaborazione si può migliorare il nostro modo di vita senza mai rischiare di metterne in pericolo l’esistenza vera e propria.

Instaurando una collaborazione con le istituzioni, un giorno, si chiuderà definitivamente la possibilità di realizzare nuove occupazioni, come si può ben vedere in altri paesi d’Europa dove la legalizzazione è in atto. Chi vorrà uno spazio potrà inoltrare domanda all’amministrazione e attendere con fede. Chi si ostinerà ad occupare ancora sarà immediatamente sgomberato.

Naturalmente questa legalizzazione non sarà unica e univoca, potrà essere un passaggio che comprende l’associazione forzata (con tanto di statuto, presidente, tessere, etc.), la cooperativa, l’affitto simbolico o magari non simbolico ma pagato dall’amministrazione comunale, la convivenza con altre associazioni di ogni tipo, il rispetto delle norme antincendio, d’igiene, agibilità e abitabilità con relativi controlli di funzionari e sbirraglia varia. E poi ancora i diritti d’autore, le licenze per gli alcoolici, le tassazioni, etc, etc. Non saranno magari tutte queste cose, magari non tutte in una botta sola, ma una volta aperto, il discorso non si potrà chiudere mai più.

Possono inventarsi tutti gli stratagemmi che vogliono per istituzionalizzare ogni spazio del pianeta.

Possono chiamarli come vogliono: “Spazi Culturali Indipendenti”, “Centri Culturali Autonomi”,…

Una cosa è certa, l’istinto che spinge le persone a creare spazi liberati autogestiti tramite la pratica delle occupazioni è indomabile anche dalle loro leggi e fino a che ci sarà questa società civile ci sarà qualche selvaggio che sarà pronto ad occupare illegalmente gli spazi da essa dismessi per realizzare il sogno di vivere libero.

(foto da inventati.org)