Lo Stato, la medicina e il corpo: chi ne ha più bisogno?

Fonte: Ticinotoday – di Filippo Contarini, maggio 2020

La medicina non si occupa dei corpi, lo Stato democratico ne è indissolubilmente legato. Quali prospettive di fronte alla rivoluzione tecnologica?

La strana apprensione dello Stato per il nostro corpo e l’impotenza medica

 

Abbiamo scoperto in questi giorni che gli Stati possono chiudere molto facilmente le frontiere e che addirittura ne emergono alcune di cui non eravamo consapevoli fino in fondo, ad esempio le frontiere fra regioni in Italia. Abbiamo scoperto che l’esercito, che nei decenni abbiamo idolatrato a salvatore della popolazione (p.e. quando c’è una catastrofe) e ora ci appare nemico, pronto a spararci addosso. Che succede?

In questi giorni abbiamo scorto qualcosa di nuovo, di inaspettato nella nostra comprensione del mondo. Abbiamo scoperto che non sempre i medici possono adempiere il loro compito. L’altra sera c’era un interessante intervista del telegiornale della RSI a un medico italiano a New York, Francesco Rotatori: “Vedi questi pazienti malatissimi e ti senti inerme, sembra che non fai abbastanza. Oggi la mia professione è qualcosa di diverso, prima era basata sulla soddisfazione di curare e guarire i pazienti. Ora li accompagno nel momento di difficoltà, a volte senza poter far niente, e devo accompagnarli alla morte”. Così non è più soddisfacente, insomma. Al medico non piace fare l’infermiere.

Dobbiamo da qui fare una riflessione scomoda, controintuitiva e a tratti anche irritante, sulla differenza che c’è oggi fra la medicina e la politica nel trattare il corpo delle persone. Questa differenza è importante per cogliere l’importanza del corpo dello Stato democratico occidentale contemporaneo ed è importante riuscire a coglier come questo virus abbia messo in luce un legame fra biologia e politica.

La medicina non si occupa dei corpi

Noi pensiamo sempre che la medicina si occupi di corpi umani. Non è esatto. La medicina si occupa di mandare avanti la medicina. È una scienza applicata. Questo significa che il corpo è un supplemento (come direbbe Derrida) della medicina. La medicina non ha un interesse reale sul corpo umano. Il singolo medico può certo avere un reale interesse al corpo del suo paziente, un interesse empatico. Ma la medicina in sé non ce l’ha. Mi spiego meglio.

C’è un detto abbastanza famoso che dice: “l’operazione è andata bene, il paziente è morto”. La frase è scomoda, ma è conosciuta. Sta ad indicare che nel momento dell’applicazione dell’arte medica, nel momento dell’applicazione di tutto ciò che la medicina poteva fare per essere esercitata nel modo corretto, ebbene in quel momento il corpo è un oggetto esterno alla medicina. Diventa l’oggetto su cui la medicina sviluppa sé stessa, che lo manipola, che esplicita le sue competenze tecniche. Ma da nessuna parte c’è scritto che la medicina ha fallito se il corpo muore. Il medico può aver fallito, ma la medicina no.

La medicina può aver fatto tutto quello che andava fatto e il corpo comunque essere morto. Alla medicina, che è una scienza autonoma, in realtà non cambia se il corpo è morto. Per la medicina la morte del corpo è solo un’informazione, importante perché le dà le capacità di capire se la diagnosi, la prognosi, le cure, le operazioni e tutto quanto è necessario all’arte per continuare a svilupparsi, siano o no in contraddizione su quanto sapeva prima. Ebbene il corpo in tutto questo è solo un portatore di informazioni.

Il corpo che muore certifica o rende instabile una teoria, niente più. Il medico può essere cinico, come Dottor House, può essere umano, come Franco Cavalli, ma rimane un medico che si occupa di applicare medicina ai corpi.

Lo Stato democratico oggi è attaccato indissolubilmente al corpo

Il corpo dello Stato democratico di oggi e invece molto più che un portatore di informazioni: è parte integrante dell’organizzazione, è nella politica. È la conta dei corpi che dà significato all’azione politica. È soprattutto il corpo morto ad avere un’importanza centrale.

Se il corpo morto del candidato può ancora essere ancora considerato un candidato vivo (si pensi a Berlinguer in Italia o a Giuliano Bignasca in Ticino), il corpo dell’elettore morto cambia oggi le sorti del momento politico, perché cambia la conta dei valori in gioco. Cambia se un partito sarà più o meno forte, condannandolo potenzialmente alla scomparsa. Un esempio: un partito che viene voltato solo da giovani è un partito che muore, se tutti i giovani a causa di un’epidemia muoiono. Questo rapporto fra la politica e la morte in medicina non c’è.

E così ecco che la prima attenzione del sistema politico contemporaneo, che non ha più nessun controllo sulle maggioranze e le minoranze, è rivolta completamente a far restare in vita il corpo. Qua è la controintuitività: per la medicina possono morire tutti i pazienti (e fa niente se lo scopo della medicina è tenerli in vita), non cambierà certo il modo di funzionare la medicina. Se muoiono, al massimo un medico si sentirà inutile, ma non meno medico (come testimoniava Rotatori da New York). Se invece muoiono tutte le persone che compongono un partito, ecco che cambia il modo di funzionare della politica di oggi, che è cangiante e contingente.

E quindi il virus più che mettere in crisi i medici, che non sono più in grado di trovare la medicina per il loro paziente, mette in crisi la politica perché essa deve dimostrare di essere in grado di occuparsi dei suoi corpi che abitano il suo territorio: ecco spiegate le chiusure delle frontiere in un’epoca di globalizzazione, in un’epoca in cui non ce lo saremmo aspettati così. Ma attenzione: non è la stessa chiusura delle frontiere che c’era negli anni ‘30 del Novecento.

Abbiamo esternalizzato la tanatopolitica

Fino alla Seconda Guerra mondiale, il corpo della nazione era sacrificabile. Era ancora un supplemento. Il corpo era ancora legato alla “tanatopolitica” (la politica della morte), era sacrificabile sull’altare di un sistema che non era ancora legato al corpo. La politica aveva una capacità di controllo sulle persone decisamente più avanzato di oggi. E così ecco i milioni di morti. Poi arriva con l’ONU il divieto alle Nazioni di fare la guerra. La società disciplinare venne sostituita con la società dei nuovi mass media e la società del consumo, la cosiddetta società della prestazione (Baumann).

Se la politica statale moderna era “tanatopolitica” ancora al suo interno, oggi quella tanatopolitica è stata esternalizzata: per lei possono morire gli altri, ma non possono morire i suoi elettori. Muoiano i migranti, lasciandoli affondare in mare. Muoiano i siriani, vendendo armi ai Paesi in guerra. Ma p.e. per la politica democratica occidentale odierna è diventato impensabile dare spazio solo all’economia. Perché la politica perderebbe il suo senso d’essere. E qua si vede quanto tutti quei socialisti e comunisti che continuano a straparlare di “economicizzazione della politica” non ci avevano capito proprio niente.

Ecco che la chiusura delle frontiere stavolta è legata al “garantire il diritto alle cure”. La chiusura dei confini regionale, sconosciuta finora, è una forma di garanzia di esistenza dello Stato burocratico, finalizzata a garantire quel diritto alle cure, altrimenti inattuabile (e comunque escludente per i migranti!). Ecco l’opposizione dei comuni alle decisioni cantonali, misurata sul terrore di non riuscire a garantire la sopravvivenza ai propri elettori. Un esempio concreto di questa attenzione all’elettorale è proprio il fatto che la politica non ha quasi mai dato “ordini” in questi mesi: ha bisogno di inscenare in tutto e per tutto che l’elettore è assolutamente padrone della sua volontà. Lo Stato deve continuare a mantenere viva la messinscena teatrale. “È l’elettore che decide, non la politica”.

 

Il rapporto fra il corpo e la digitalizzazione

Quando la politica occidentale ancora non era dipendente dal corpo, come ci spiegano i nostri nonni, “con le epidemie si moriva”. Ma quel distacco dei corpi permetteva di celebrare guerre completamente distruttive (e si noti l’ipocrisia di considerare la crisi del ‘29 come l’ultima grande crisi economica, come se la guerra non ci sia stata…). Io non dico certo che questa evoluzione della relazione fra politica democratica e corpo sia sbagliata, non lo dico qui. Qui mi sto limitando all’analisi.

E proprio l’analisi ci deve far riflettere su ciò che sta arrivando con la digitalizzazione. Quello informatico infatti è un altro sistema che non è legato al corpo nel suo funzionamento. A differenza della democrazia occidentale contemporanea, per il sistema tecnologico il corpo è supplemento, come per la medicina. È in grado di controllare i corpi ben meglio della struttura militare. I soldati vengono usati per controllare i “resti”, coloro che non si vogliono adeguare alla struttura informatica.

Diventeremo sempre più dipendenti da una struttura digitale, per cui quando noi non vorremo farne parte, resteremo esclusi dalla possibilità di ottenere qualsiasi servizio. È sarà stata “solo colpa nostra”. Il rapporto fra lo Stato e il sistema digitale subirà un capovolgimento, lo Stato da decisore diventerà sostanzialmente esecutore. Quello che stiamo per vivere con le applicazioni di tracking che verranno installate su base “volontaria” sui nostri cellulari è proprio espressione di una prima divisione sociale in base alla “volontà” del singolo individuo. Chi non vorrà usare l’applicazione si starà autonomamente escludendo – così la narrativa imperante – dalla struttura sociale.

 

A dipendenza dell’analisi cambia il nostro posizionamento sulla rivoluzione tecnologica

Torniamo all’inizio. La questione era se fosse più la medicina o più lo Stato a occuparsi di corpi e di morte. A prima vista non c’è assolutamente confronto: i corpi sono negli ospedali, quindi è la medicina che si occupa di corpi. In realtà ampliando un po’ l’obiettivo di osservazione e la nostra astrazione, e quindi andando a chiederci che cos’è un corpo e soprattutto andando a ragionare sul confine del corpo e la morte, ecco che scopriamo che è anzitutto la politica a occuparsi di corpi. Rimane una domanda non risposta sul perché la politica ci voglia vivi: per caso perché in realtà ci vuole come oggetti vivi?

Il corpo è un oggetto della comunicazione e in quanto tale va osservato nei suoi modi di interagire con la società. Con il nuovo legame fra la politica e il corpo, abbiamo scoperto che per la prima volta lo Stato ci ha voluti tutti vivi. Questa novità non era prevista nei decenni passati, dove la morte dei propri cittadini è sempre stata un’opzione. Da evitare, certo, ma era un’opzione.

Da questa realtà possiamo intendere in modo diverso lo Stato e possiamo cominciare a riflettere meglio cosa ci succederà con il tracking digitale. Perché, a ben vedere, il mondo digitale non sembra aver bisogno del nostro corpo. Come dice il bravo filosofo Mbembe, stiamo rischiando di essere relegati a “un’umanità superflua” nei confronti delle macchine, dove l’unica cosa che conta è che viviamo. Un compito di cui lo Stato si fa esecutore.

Il come viviamo però in tutto ciò sembra non importare molto e dovrebbe ora essere sul serio al centro della nostra attenzione!

Filippo Contarini, teorico del diritto