Nulla di nuovo sul fronte occidentale

(fonte: YallahComo)

Como, 15 dicembre 2016

È giunto anche per me il momento di cimentarmi con quello che, grazie alla dedizione di questura e prefettura, sembra ormai essere il filone letterario più affermato del comasco: le arringhe difensive contro le ingiustizie dei (pre)potenti. Difficile sarà tenere il passo con i fulgidi esempi che mi hanno preceduto, considerato che la noia non fa audience e il pubblico esige novità, ma il copione va ripetendosi in modo tristemente identico… Ad oggi i fogli di via dati da Como per i fatti di quest’estate hanno raggiunto quota 20.

Da diversi mesi assistiamo a una sistematica opera di estromissione degli indesiderati, che ha visto più attori contendersi il ruolo di protagonista. Se la stagione è stata inaugurata dalla cacciata di Firdaus ad opera di Bernasconi e Magatti, è proseguita con l’allontanamento dei ragazzi dell’associazione svizzera One Love da parte delle forze dell’ordine (a cui ha fatto seguito lo sciopero della fame dei migranti), lo sgombero della stazione coronato dal presidio fisso a difesa di un parco spettrale, i consiglieri comunali tenuti al di fuori e all’oscuro dei meccanismi di gestione del campo governativo, l’espulsione dallo stesso dei migranti insubordinati per mano degli operatori della Croce Rossa, lo sportello di orientamento psico-sociale di Medici Senza Frontiere liquidato dall’ASL, la prefettura che diffida i volontari che non si piegano in tutto e per tutto ai suoi dettami, mentre la questura colpisce quanti hanno espresso le critiche più radicali al sistema ideologico e logistico che regge il campo e il suo funzionamento.

In questo delizioso balletto dell’esclusione, a giustificazione del foglio di via che ho ricevuto mi si contesta l’aver preso parte a un volantinaggio non autorizzato presso la sede comasca della Rampinini, l’impresa di trasporti che svolge il ben retribuito incarico di “trasferire” i migranti dalla frontiera svizzera all’hotspot di Taranto. Tale volantinaggio di protesta, compiuto da una cinquantina migranti e da un piccolo gruppo di solidali, avrebbe causato intralcio alla circolazione, circostanza alquanto comica tenuto conto che l’accusa di intralciare la circolazione è mossa proprio a coloro che da settimane erano bloccati loro malgrado nella città di confine. Ebbene, rispetto a tutto ciò devo ammettere che non solo c’ero, ma approvo e mi compiaccio di quanto fatto dall’inizio alla fine, tanto da volervi allegare una foto ricordo.

I trasferimenti forzati su territorio nazionale, costati negli ultimi mesi 770mila euro di soldi pubblici (stando alla relazione del sottosegretario alla difesa, ma su questo rimando agli approfondimenti realizzati per Open Migration da Quadroni e Luppi e da De Monte per DinamoPress), sono una pratica disumana, illegale e inutile, ormai riconosciuta come tale finanche dal Siap, sindacato delle forze di polizia… Giuro. Insomma, chi insiste col perpetrarle probabilmente lo fa in virtù della caparbietà che prende piede quando il buon senso viene totalmente soppiantato da quello del Dovere. Scusate l’accenno pedante, ma appartiene alla deformazione professionale propria del mio essere educatore, mestiere esercitato a Como oltretutto, ironia della sorte.

Ci terrei comunque a specificare che prima di imbarcarmi in tale impresa scellerata mi ero prestato a fare da mediatore a un gruppo di migranti che aveva avanzato la richiesta di presentare al prefetto, in qualità di legale rappresentante del governo italiano a Como, alcune rimostranze rispetto al trattamento loro riservato e all’increscioso problema che andava generandosi in città, di cui erano i primi a fare le spese. Lo spettabile Bruno Corda si è subito dimostrato molto accondiscendente nei confronti delle loro istanze. In effetti, da quel momento in poi la situazione è cambiata sensibilmente: in frontiera i migranti hanno continuato a essere respinti e vessati, per poi essere caricati sui pullman e riportati a Taranto. Così – come emerge dalle video-testimonianze raccolte da Yallah Como – hanno capito che per migliorare la propria vita non si sarebbero dovuti aspettare gentili concessioni dall’alto, bensì mettersi in gioco in prima persona… e noi con loro.

Dal canto mio non ho problemi ad assumermi le responsabilità del mio operato, a differenza di chi smentisce istericamente quello che è ormai un fatto acclarato da un numero crescente di testimonianze, inchieste e rapporti (ultimo quello di Amnesty), ovvero che anche in Europa il viaggio dei/delle migranti, dai luoghi di sbarco a quelli di insediamento passando per i confini interni, rimane costellato di minacce, ricatti, violenze e torture. In gran parte è quel che si definisce “ordine pubblico”, lo stesso in nome del quale le nostre strade si affollano di telecamere, di militari (ultimamente così solerti da presentarsi addirittura alle assemblee cittadine) e di tutte quelle misure securitarie che hanno il nobile scopo di farci vivere più serenamente… Ma ne siamo proprio sicuri?

Penso che la migliore garanzia dell’instabilità sociale che sconteremo ora e negli anni a venire risieda da un lato nella discriminazione operata dal cosiddetto razzismo istituzionale, per usare le parole di Malcolm X, o razzismo di Stato, per usare quelle di Pietro Basso, dall’altro nelle dinamiche di sfruttamento messe in atto dagli interessi capitalistici più spregiudicati.

Prima dell’apertura del campo, avevamo predetto che sarebbe stato quello che si è dimostrato di essere. L’anno scorso in una manifestazione a Ventimiglia un cartellone esposto da un migrante recitava: “Stanno costruendo per noi una prigione”. A Como hanno fatto un cimitero e l’hanno chiamato accoglienza… e un cimitero nel vero senso del termine, smantellando in fretta e furia l’amianto presente in un’area destinata a uso cimiteriale in cui non stupisce che la gente cerchi di togliersi la vita. Non sono qui a perorare la causa della buona accoglienza, anzi, ritengo che innanzitutto dovremmo emanciparci dall’idea colonialista che i migranti vadano gestiti, istruiti e accompagnati a una corretta integrazione nella nostra (?) società. Da ciò deriverebbe la dismissione di tutta una serie di pratiche che procurano molti più danni di quanti non si propongano di risolvere, in primis le deportazioni.

Allo stato attuale dell’arte non è dato prevedere come si evolverà la situazione. Potremo riprecipitare nei deliri dell’identità, e qualcuno ci si mette di buzzo buono disconoscendo che la povertà nostra e la loro hanno la stessa radice (ricordo una sfilata non autorizzata di insulti ai migranti della stazione perpetrata da Salvini e soci, ma per loro nessuna conseguenza legale ovviamente); oppure potremo cercare di stare assieme felicemente, e vivere assieme e felicemente non in questo mondo, ma in quello nuovo che prenderà forma dalla convergenza delle nostre lotte e dall’incontro delle nostre fantasie.

Per chi si incammina su questo sentiero, l’uso dei fogli di via e di altre misure cautelari da parte delle questure in forma di rappresaglia politica non è una novità. Se in Val Susa ormai non si contano più quelle date a chi si oppone alle devastazioni ambientali, a Ventimiglia nell’arco di poco più di un anno sono stati emessi all’incirca sessanta fogli di via, provvedimenti che non prevedono nemmeno un passaggio in tribunale. Chissà cosa ne avrebbe pensato Perretta, insigne giudice di Como vittima a sua volta delle misure di confino fasciste?

Ad ogni modo, è stata una buffa coincidenza  ricevere la notifica del foglio di via dal capoluogo della provincia in cui abito la stessa settimana in cui il TAR della Liguria si è definitivamente espresso in favore dell’accoglimento del mio ricorso per quello datomi a Ventimiglia l’estate passata, dove per i casi fortuiti della vita già mi trovavo a contestare le procedure di riammissione coatta dei migranti rastrellati in territorio francese. Tutti i ricorsi finora presentati per i fatti di Ventimiglia sono stati accolti, con la condanna del ministero degli interni al pagamento delle spese processuali, che variano tra gli 800€ e i 2400€.

Da inguaribile ingenuo qual sono, cercherei a questo punto di essere più scrupoloso nell’uso delle pubbliche risorse appellandomi come previsto dalla legge al già citato prefetto, il quale avrà la facoltà di pronunciarsi sulla fondatezza o meno del provvedimento. Riservandomi di aggiornarvi sugli esiti di questo tentativo, vi rassicuro che in ogni caso il mio agire non si discosterà da quanto l’ha finora contraddistinto… con il più vivo augurio che su questa strada possa continuare a incontrare validi compagni di viaggio.

Un abbraccio sincero,

Jacopo