Dal bunker di Camorino: Ci è rimasto solo il respiro, non abbiamo nient’altro.

Dal bunker di Camorino: Ci è rimasto solo il respiro, non abbiamo nient’altro.
Una delle persone recluse nel bunker di Camorino.
Riceviamo e diffondiamo:
Nelle ultime settimane, in seguito allo sgombero e demolizione di parte del centro sociale il Molino, da più parti si sono alzate voci di sdegno e denuncia della svolta sempre più autoritaria delle forze di polizia e delle autorità cantonali a cui fanno capo.
Sull’onda sovranista e razzista che sta travolgendo diversi paesi d’Europa e non solo, anche in Ticino sembra che il potere si sia tolto la maschera democratica e agisca con la mano di ferro quando lo ritiene necessario.
In realtà, lo sdegno suscitato dall’agire dello Stato la notte di sabato 29 maggio a Lugano, non deve farci dimenticare che in questo paese c’è chi la violenza della polizia e delle istituzioni rossocrociate la vive sulla propria pelle ogni giorno, da quando ha varcato il confine entrando nel limbo dei cosiddetti centri di asilo federali e cantonali.

Esseri umani di seconda classe, esclusi, marginalizzati, alcuni dei quali sotterrati perché sprovvisti del pezzo di carta giusto e nati nel luogo sbagliato al momento sbagliato. Sotterrati non solo metaforicamente dalla burocrazia di un regime migratorio razzista e disumano, ma letteralmente messi sottoterra, nascosti sottoterra.
Qualcun* ricorderà il bunker di Camorino, rifugio della protezione civile, per lo scandalo politico suscitato dal caso Argo 1 , altr* per la mobilitazione portata avanti da persone residenti nel centro con attivist* solidali antirazzist* per la chiusura di questo cosiddetto centro di “accoglienza”.
Lotta che aveva portato a momenti di piazza significativi come ad esempio l’occupazione simbolica del bunker il 25 agosto 2018, il corteo contro le frontiere di centinaia di persone a Bellinzona il 27 ottobre 2018, il campeggio resistente del novembre dello stesso anno in Piazza della Foca, senza dimenticare lo sciopero della fame portato avanti da oltre trenta delle persone rinchiuse allora nel centro nel giugno del 2019, molte delle quali, a seguito di ciò, sono state deportate nei loro paesi di origine.
Come denunciato a più riprese dal Collettivo R-esistiamo, la pandemia di Covid non ha fatto che aggravare le condizioni di detenzione all’interno del bunker, dimostrando come nei momenti di crisi le disugualianze già esistenti nella società in tempi “normali” si facciano ancora più marcate e chiare.
Mentre fuori vigevano misure di distanziamento sociale e restrizioni sugli assembramenti, nel centro di Camorino le persone hanno continuato a vivere ammassate in stanze senza finestre né sistema di aerazione adeguato. Il divario tra chi secondo le istituzioni ha il diritto di vivere una vita degna e chi no è venuto a galla in modo ancora più esplicito, ricalcando chiaramente le linee di suddivisione dell’umanità su cui si fonda il razzismo strutturale anche in questo paese.
Mentre nelle ultime settimane anche in Svizzera sembra sia tornata la tanto millantata “normalità”, il bunker di Camorino continua ad essere usato come “centro sotterraneo”. Al momento vi (soprav-)vivono 18 persone provenienti da Algeria, Libia, Eritrea, Afghanistan, Iraq e altri territori storicamente saccheggiati da secoli di colonialismo, programmi di aggiustamento strutturale e guerre per l’accaparramento di risorse naturali dei paesi poveri da parte delle multinazionali dei paesi ricchi in nome del “libero mercato”.
A Camorino, le persone sono ammassate in 3 camerate da 5/8 persone, in locali sprovvisti di finestre e in cui l’aria stantia, e in questo periodo estivo il caldo soffocante, provoca disturbi respiratori e impossibilità di dormire di notte. La casetta adiacente al bunker è più o meno a disposizione ma priva di tutto: una cucina vuota, un frigorifero piccolo e nient’altro che, ogni tanto, stoviglie monouso per una ventina di persone. Nemmeno un televisore.
Nel bunker vige un controllo delle entrate ed uscite. Dalle 24.00 alle 07.00 è obbligatorio restare nella struttura e chi non firma entro la mezzanotte non ha accesso ai 10 franchi giornalieri concessi per tutte le spese (cibo, vestiti, sapone, shampo, tabacco ecc.). Le persone attualmente nel bunker raccontano di non poter nemmeno cucinare per mancanza di stoviglie e di essere costrette a mangiare solo pizza o cibo scadente ogni giorno perché con 10 franchi per tutto non è possibile vivere.
In generale riferiscono che gli unici contatti con l’esterno sono: con gli agenti della Securitas, alcuni dei quali hanno atteggiamenti molto ostili e razzisti, con la polizia durante le incursioni e gli interventi e la visita settimanale di un’infermiera della Croce Rossa (una o a volte due visite alla settimana).
A questo proposito è utile ricordare che il bunker si trova nel perimetro della centrale di polizia di Camorino, in uno spazio praticamente «militarizzato», costantemente controllato e frequentato non solo dagli agenti della sicurezza ma pure da poliziotti in divisa e non. Per ovvi motivi di rispetto dell’incolumità e della privacy di chi se li è vissuti e li ha raccontati, non possiamo entrare nei dettagli degli episodi di violenza della polizia che a gruppi di 5/6 agenti ha preso a botte persone che vivono nel bunker, ma non stupisce certo che questi episodi non siano isolati.
In molti ci dicono che il bunker è peggio del carcere. Per chi non lo sapesse, in Svizzera una persona che non ha un permesso di soggiorno valido, può essere in qualsiasi momento incarcerata fino ad una massimo di 18 mesi, con l’avallo di autorità giudiziarie inermi e inette, che attendono l’ultimo giorno per decidere se sia giusto o meno incarcerare.
Chi viene alloggiato nel bunker ha il divieto di uscita dal comune di Camorino, salvo appuntamenti eccezionali, come quelli con la psicologa a Bellinzona.
La maggioranza delle persone che vive ora a Camorino riferisce di fare largo uso di farmaci sedativi e ansiolitici poiché unico modo per riuscire a chiudere occhio nel bunker e perché sono gli unici farmaci concessi senza discussione, mentre altri problemi medici, in gran parte riconducibili allo stress e alle condizioni di vita, non vengono minimamente riconosciuti. Qualsiasi rapporto medico purtroppo, dalla nostra esperienza, non viene assolutamente preso in considerazione né dal cantone né dalla SEM (Segreteria di Stato della Migrazione). 
Un uomo che vive nel centro afferma: “Chiunque diventerebbe matto in un luogo del genere. Ci fanno impazzire. Non ho bisogno di una terapia, ma solo che mi venga data una possibilità”.
La Commissione Nazionale per la prevenzione della tortura (CNPT) già in un rapporto del 2014 dava un tempo di permanenza massimo di tre settimane nei rifugi sotterranei della Protezione civile. Addirittura lo stesso Consiglio di Stato ha dichiarato nel 2020 che “le camerate a Camorino non siano una soluzione troppo confortevole, soprattutto per soggiorni di lunga durata”. La realtà è che i soggiorni a Camorino sono solo di lunga durata, e non si tratta di settimane. Alcune persone ci vivono da oltre quattro anni, sottoterra. Nel canton Ginevra i bunker usati come centri di asilo sono stati chiusi nel 2016.
Ma non c è bisogno di nessuna commissione né tantomeno di un ente statale per capire che nessun* dovrebbe vivere in queste condizioni e che il bunker di Camorino deve chiudere. Coloro che lucrano su posti come questo sono sempre gli stessi: nello specifico l’azienda di sicurezza privata Securitas. Le autorità responsabili: il Dipartimento della Sanità e della Socialità (DSS), il Dipartimento delle Istituzioni del canton Ticino e la Segreteria di Stato della Migrazione (SEM).
Dietro la facciata della caritatevole accoglienza svizzera si nasconde una realtà di cui il bunker di Camorino, vera e propria prigione sotterranea, non è che un esempio. I centri federali e cantonali di asilo, espressione del razzismo di Stato, sono luoghi costituiti da recinzioni, mura, telecamere e agenti di sicurezza in cui la SEM smista gli essere umani come fossero merce decretando chi, basandosi su criteri arbitrari e funzionali all’economia, potrà rimanere in Svizzera e chi, invece, verrà deportat* con la forza. 
L’invito è di attivarsi contro tutto ciò, rompendo il muro dell’isolamento nel quale le istituzioni tentano di relegare le persone che vivono in questi centri. Ascoltare le voci di chi si vive sulla propria pelle queste esperienze per creare alleanze, complicità e solidarietà, andando oltre la narrativa razzista e xenofoba spacciata ogni giorno dalla politica e dai media di regime. 
Contro il razzismo! Basta segregazione!
Solidarietà con le persone rinchiuse nel bunker di Camorino e in tutti i centri di asilo del Ticino e della Svizzera!
 Collettivo R-esistiamo