Non avrai altro dio all’infuori di me!

Articolo tratto dal pamphlet KRINO, la pubblicazione completa si può scaricare a questo LINK

Mercoledì 11 Marzo 2020 l’ OMS dichiara covid-19, il cui primo caso si ebbe a Wuhan e diffusosi in tutta l’Asia e successivamente in tutto l’occidente, pandemia: un’epidemia con tendenza a diffondersi ovunque, cioè a invadere rapidamente vastissimi territori e continenti. Nonostante la dimensione globale del fatto, in Italia, come risposta a questa crisi, stiamo assistendo a un’amplificazione esponenziale della già onnipresente e pervasiva retorica nazionalista fatta di tricolori, inni e richiami ad un’ipotetica unità.

Vorremmo cercare di analizzare i motivi e le convenienze che hanno spinto a far uso di questa retorica e il perchè questa abbia fatto breccia nel sentire comune.

Crediamo che per iniziare ad analizzare questo fenomeno sia utile partire dalla riflessione di Rudolf Rocker secondo la quale religione e autorità sono due gemelli siamesi che nascono contemporaneamente e sono strettamente legati l’un l’altro, in quanto ogni forma di potere nella storia ha sempre fondato la propria legittimità su miti e scritture sacre che avevano come oggetto una divinità. Si potrebbe dire che questa riflessione perda la sua pregnanza se si cerca di applicarla al regime liberale contemporaneo nato dalla secolarizzazione e che ha come suo fondamento la laicità dello Stato: come può essere considerato legato alla religione un regime che vede la sua sovranità derivare non da Dio ma dal popolo e dalla nazione?

A un primo sguardo questa osservazione sembra cogliere nel segno, ma solo perchè lo Stato-nazione è il regime politico-istituzionale in cui siamo nati e cresciuti e quindi non riusciamo ad analizzarlo con il dovuto distacco, ma se si riesce a problematizzarlo si può notare che anche il regime politico in cui siamo immersi si fonda sul culto di una particolare divinità: la Nazione.

Sin dalla sua nascita nel XVIII secolo lo Stato-nazione moderno si poneva come il portatore e l’esecutore della volontà nazionale: qualcosa che non deriva dalla somma e il dialogo delle varie volontà personali, ma un ente trascendente di cui queste ultime non sono altro che una derivazione e una espressione. Questa visione crede sia possibile una volontà unitaria di tutti gli individui che vivono in una determinata regione geografica, non prendendo in considerazione un fatto centrale e cioè che la società è divisa in classi con interessi che non solo sono diversi, ma sono necessariamente in contrasto fra loro: chi può dire infatti che un senzatetto e un palazzinaro abbiano gli stessi interessi solo perchè nati nello stesso luogo o perchè parlano la stessa lingua?

Non potendo derivare dalle volontà e dagli interessi dei singoli individui che la compongono, la volontà nazionale non è altro che un ente astratto e trascendente che sovrasta la comunità concreta formata dall’unione dei singoli individui particolari di cui essa non è che la copia farsesca e idealizzata; insomma è la divinità su cui lo Stato cerca di fondare la propria legittimità ponendosi come il realizzatore dell’ “interesse nazionale” checché ne dicano gli apostoli della laicità dello stato. L ‘interesse nazionale non è altro che l’interesse particolare di coloro che hanno le risorse culturali, simboliche ed economiche per presentare i propri interessi particolari come generali anche se vanno a discapito della maggioranza della popolazione coprendo così lo sfruttamento e l’imposizione onnipresenti.

Se l’unità nazionale è la nuova forma religiosa necessaria alla legittimazione del regime liberale-capitalistico, allora non ci stupiscono i rituali delle 18:00 fatti di inni e tricolori che ripropongono nel mondo “civile” le danze intorno ai totem dei cosiddetti “selvaggi”, o il gran numero di bandiere esposte come crocifissi.

In questi giorni stiamo assistendo a un aumento dei rituali della religione nazionale perchè questa, come ogni altra religione, ha il fine di religare, legare insieme la popolazione cercando di far dimenticare quelle spaccature che in un momento di crisi (sanitaria o economica che sia) potrebbero far saltare le fondamenta di potere e sfruttamento dei pochi sui molti che tengono in piedi il nostro mondo. La tattica è sfacciata e si sta facendo ricorso soprattutto a due elementi da sempre centrali nella simbologia nazionalista: la comunità nazionale come famiglia e il cameratismo.

L’11 marzo 2019 a conclusione della presentazione del dpcm, il presidente del consiglio Conte ha affermato: “Siamo parte di una medesima comunità. Rimaniamo distanti oggi per abbracciarci con più calore e correre più veloci domani”, insomma i “fratelli d’ Italia” sono una grande famiglia che farà molta fatica a non potersi abbracciare, ma che finita questa crisi tornerà alle solite dimostrazioni di affetto tipiche del datore di lavoro che sfrutta l’operaio, del poliziotto che elargisce DASPO a senzatetto e poveri o del politico che taglia decine di miliardi alla sanità pubblica: un cantautore molto ascoltato (ma anche molto frainteso) avrebbe detto: “Onora il padre, onora la madre/e onora anche il loro bastone,/bacia la mano che ruppe il tuo naso/ perché le chiedevi un boccone”.

L’ideale del cameratismo è portato avanti da tutta quella simbologia bellica che trasuda da tutti i discorsi istituzionali e dalla narrazione dei media mainstream: l’Italia è in guerra contro un nemico comune e quindi è necessario serrare le fila della comunità nazionale tenendo da parte tutte le differenze sociali, politiche e culturali. Dal punto di vista simbolico e dell’estetizzazione del discorso pubblico questo è riscontrabile per esempio nelle immagini delle file di mezzi militari mimetici che portano via le salme da Bergamo: ci chiediamo a cosa servano questi mezzi; da cosa devono nascondersi? Quest’uso è simbolicamente strumentale a creare una sensazione generalizzata di guerra con tutto il cameratismo che avere un nemico comune produce.

Il notare la sovrapposizione di nazionalismo e religione è utile anche per comprendere perchè questa retorica faccia breccia nelle menti e nei cuori della popolazione in un momento come questo: la religione è sempre stata la risposta che l’individuo ha dato alla sua condizione di finitudine e precarietà. In un momento pandemico in cui l’uomo è messo crudamente di fronte alla sua nullità e al pericolo della morte, questo non può che affidarsi alla religione contemporanea per eccellenza cercando di esorcizzare la morte con l’idea di una resurrezione all’interno di una comunità nazionale che gli preesiste e che continuerà a vivere anche dopo la sua eventuale morte.

Come ogni chiesa, lo Stato-nazione ha i suoi infedeli e i suoi eretici, i suoi nemici esterni e i suoi nemici interni contrapponendosi ai quali riesce a rafforzare l’idea di ingroup. Il nemico esterno, oggi come sempre, è l’immigrato proveniente dal continente africano: l’8 Aprile lo Stato italiano ha deciso di non far attraccare le navi di migranti nei propri porti fino al 31 Luglio. Sarebbe interessante cercare di comprendere perchè vengano chiusi i porti a navi provenienti da paesi in cui il tasso di positivi al corona virus è inferiore all’Italia e al mondo occidentale, ma si tratterebbe di uno sforzo vano: nelle religioni vige il credo quia absurdum (credo in quanto assurdo). Il nemico interno è il povero che osando avere fame rappresenta la cattiva coscienza che la società cerca di esorcizzare e rimuovere tramite la criminalizzazione e definendo questo come una degenerazione dal corpo sano della comunità nazionale. Questo processo è facilmente riscontrabile nella reazione spropositata ai casi di tentativo di furto in un supermercato palermitano (ma anche in altre città italiane) e ad alcuni video postati sui social in cui alcune persone dei quartieri popolari del capoluogo siciliano invitavano chi non aveva soldi e non poteva ricevere i sussidi statali in quanto lavoratore in nero a prendere dai supermercati ciò di cui aveva bisogno per sfamare sé e la propria famiglia. Subito è arrivata la risposta indignata di tutta la cittadinanza che si è autoproclamata “vera Palermo” e col passare del tempo di tutta la nazione. Il sindaco Orlando ha addirittura sostenuto che queste persone fossero degli “sciacalli del sottobosco mafioso” per via di alcuni “mi piace” a pagine Facebook che sicuramente sono più che esecrabili ma che nella realtà non hanno nulla a che vedere con la mafia, ma sono solo il prodotto di trenta anni di retorica di antimafia legalitaria che si fonda sulla visione “ o con la mafia o con lo stato” e che porta chi è dimenticato dalle istituzioni (o meglio chi non è dimenticato dalle istituzioni che continuano a tartassarlo e costringerlo nella miseria e nel degrado) ad appoggiare (A PAROLE) la mafia. Bisognerebbe ricordare al sindaco ciò che aveva già capito Sciascia: se tutto è mafia niente è mafia

Se la nazione è la divinità del nostro tempo bisogna fare i conti con un’altra questione: “la religione è il singhiozzo della creatura oppressa” e dunque bisogna cercare di comprendere quali oppressioni e quale miseria terrena ha portato alla creazione e alla fuga in questa entità divina. Crediamo che la creazione della divinità nazionale sia una reazione al disagio provocato da un mondo fondato sulla concorrenza e su un individualismo atomizzante che frustra ogni bisogno di solidarietà e comunità. Tuttavia, proprio perchè non vengono toccate le basi materiali che portano a questa frustrazione, la risposta nazionalistico-religiosa non può che portare con sé gli stessi problemi da cui scaturisce: la comunità nazionale non è inclusiva, ma si fonda sull’esclusione dello straniero e del nemico interno considerato come degenerazione dalla comunità nazionale.

Il bisogno di solidarietà e di partecipazione sociale non può essere realizzato postulando un’entità fittizia nel cielo religioso che domina i singoli individui: bisogna realizzare in terra una vera comunità in cui non ci siano gruppi con risorse simboliche, culturali, economiche e di potere per far passare il loro interesse particolare per interesse generale; bisogna creare una società orizzontale senza disuguaglianze economiche e di potere in cui ogni individuo possa partecipare alla definizione dell’interesse generale e che nei momenti di difficoltà non lasci nessuno indietro.

Un’ultima riflessione ci preme farla sull’effetto che l’adesione a questa religione ha sul grado di autonomia spirituale e etica degli individui. Creare una divinità significa rinunciare a tutte le qualità spirituali positive che appartengono all’uomo in quanto uomo delegandole all’ente fittizio che si è creato: paradossalmente la religione (sia essa quella tradizionale o quella della nazione) non è altro che l’abbrutimento della spiritualità. Spesso chi aderisce a questa religione aspetta che sia la “chiesa della dea Nazione”, lo Stato, a decidere cosa sia morale e cosa no, scadendo in quel becero legalitarismo tipico della nostra epoca e che in questo periodo di pandemia si esprime nella criminalizzazione di chi passeggia da solo o va nei parchi e in spiaggia con le dovute distanze mentre non ci si indigna per le fabbriche che, approfittando di cavilli legali a loro favorevoli, riescono a rimanere aperte mettendo a repentaglio la salute dei lavoratori e di tutti coloro che possono entrare in contatto con questi.

Delegare la propria autonomia morale-spirituale allo Stato non è una scelta saggia. Innanzitutto ci fa perdere la nostra umanità e singolarità; inoltre lo Stato non è altro che il detentore del monopolio dell’uso della violenza legittima e in quanto tale è in primis militarismo e controllo sociale: non è un caso che allo scoppio dell’emergenza non ci fossero le risorse e i dispositivi medici necessari per affrontarla, ma non ci fosse scarsità di militari da mettere nelle strade non si sa bene a fare cosa (a tal proposito si potrebbe anche ragionare del fatto che negli ultimi dieci anni abbiamo assistito a tagli alla sanità per 25 miliardi e a un aumento di 37 miliardi nelle spese militari)1.

Lo Stato è riuscito ad approfittare di una situazione non creata da lui e che lo ha colto colpevolmente impreparato per estendere il proprio dominio definendo necessarie quelle attività volte al profitto (su quali tipi di aziende che sono rimaste aperte abbiamo già parlato) e inessenziali le suddette attività o la lotta per il miglioramento della condizione propria o dei propri cari come la repressione di scioperi di lavoratori o degli assembramenti dei parenti e solidali dei carcerati ci stanno a dimostrare.

Sta a noi non cadere in questa trappola e iniziare a costruire una società in cui questa retorica non possa nascere né fare breccia.

1 https://altreconomia.it/tagli-alla-sanita-spesa-militare/