Ginevra – Testimonianza di un uomo in quarantena nella sua auto

15 aprile 2020 – Testo tradotto – Fonte: Silure

Mi hanno detto solo: “Rimanga a casa da solo.”

Lavoro in un ristorante. Due settimane fa, lunedì 9 marzo, uno dei miei colleghi al lavoro era malato. Il giorno dopo l’ho chiamato. Mi ha detto di avere “l’influenza”. Da quel momento ho avuto paura. Mi sono detto che dovevo evitare il contatto con le persone prima di sottopormi al test del coronavirus.

 

Quella notte, martedì, ho dormito in macchina.

Mercoledì mattina sono andato in ospedale per fare il test. Ho spiegato al dottore che stavo a casa di un amico. Mi ha chiesto di rimanere a casa finché non avessi avuto i risultati. Gli ho spiegato che non avevo una casa, che vivevo da qualcuno. Ho pensato: “Se sono positivo, non posso andarci! ».

Ho detto al dottore che avrei dormito in macchina. Mi ha detto: “Non preoccuparti, troverò una soluzione”. Mercoledì notte ho dormito di nuovo in macchina.

Giovedì 12 marzo ho chiamato la mia assistente sociale all’Hospice général1. Ho un permesso F. Dal momento che lavoro, non ricevo nessun aiuto. Ma quel giorno, non avendo scelta, avevo bisogno di aiuto, l’ho chiamata. Le ho detto che forse avevo il coronavirus, che siccome vivevo in casa di qualcuno non osavo tornarci e che in quel momento stavo dormendo in macchina. Le ho spiegato che se fossi andato da qualche parte avrei potuto trasmettere il coronavirus. La mia assistente mi ha detto: “Devi andare in Francia, in un albergo.” Le ho detto che se fossi andato in un albergo, avrei avvertito che potevo avere il coronavirus. Non voleva che dicessi nulla, non voleva che lo comunicassi all’albergo! Non volevo farlo, non è giusto! Mi ha anche detto di andare in Francia perché lì gli alberghi sono più economici. Sarei stato io a dover pagare l’albergo. Ma i miei documenti non mi permettono di lasciare la Svizzera! Me l’ha detto la mia assistente sociale! Poi mi ha detto che non poteva fare più niente per me. Così sono rimasto in macchina fino a sabato 14 marzo. Per cinque giorni ho dormito in macchina. Finalmente, domenica, sono stati i pompieri a trovarmi un posto: un rifugio della protezione civile.

Venerdì 13 marzo, l’ospedale mi ha chiamato per dirmi che ero positivo.

Ho chiamato l’ospedale tutti i giorni: “Potete trovarmi un posto dove dormire? Non posso uscire, sono positivo al coronavirus.” Mi rispondevano: “Non c’è niente che possiamo fare.” La mia assistente sociale diceva: “Non c’è niente che possiamo fare.” Nessuno poteva fare niente.

Ho chiamato l’ospedale tutti i giorni. Domenica, i medici finalmente mi hanno mandato dai pompieri. Ho chiamato i pompieri e mi hanno detto: “Ci occuperemo della sua situazione.”

Domenica sera, 15 marzo, mi hanno dato l’indirizzo di un rifugio della protezione civile. Hanno aperto questo posto, che era vuoto, per me. Ci sono andato e sto dormendo lí da domenica scorsa, da più di una settimana. I pompieri mi hanno solo detto di dormire lì sotto e mi hanno portato del cibo. Anche un altro uomo, come me con il coronavirus, ha dormito lì con me. Ci chiudevano dentro. Non potevamo uscire. Noi, non volevamo uscire. Ci portavano cibo tre volte al giorno. Per una settimana non siamo usciti.

Ho passato una settimana in macchina e una settimana in quel rifugio della protezione civile. Dovrei lasciare questo posto oggi. Il medico mi ha dato un permesso malattia fino al 22 marzo. Oggi ho chiamato di nuovo la mia assistente sociale. Le ho spiegato che l’amico che mi lascia stare da lui non vuole che torni già a casa sua perché non è sicuro che io non sia più contagioso. L’assistente sociale mi ha detto ancora una volta che non c’è niente che possa fare. L’unica cosa che mi ha offerto è stato di andare a dormire in un altro rifugio della protezione civile con altre 40 o 50 persone. Non sono stato sottoposto a nuovi test per scoprire se non sono più portatore del coronavirus. Ho chiamato il medico ma mi ha detto che non facevano un secondo esame. Mi ha detto che potevo uscire. Ma mi ha detto comunque che per 20 giorni dovevo stare attento a non avvicinarmi alle persone. E l’assistente sociale voleva mandarmi in un posto dove vivono tante persone! Sono rimasto in macchina per una settimana, di proposito per non avvicinarmi alle persone. Stasera, resterò di nuovo in quel rifugio della protezione civile vuoto. Ho detto che tossivo. Non voglio andare nell’altro rifugio pieno di gente. I pompieri non hanno ancora detto nulla.

L’Hospice e l’ospedale non hanno organizzato niente per me. Non capisco. Mi hanno lasciato fuori. Sapevano che ero positivo e che non avevo un posto dove andare. Mi hanno lasciato così. Mi hanno solo detto: “Rimanga a casa sua da solo”.

Se non avessi fatto attenzione, immaginate! Durante i giorni in cui ero in macchina, non ho mangiato. Non ho nemmeno ricevuto una mascherina. Non volevo andare alla Migros, sapevo di essere positivo. Non ho mangiato niente. Se mi fossi avvicinato ad una persona anziana o malata, avrei potuto uccidere qualcuno.

Mercoledí 25 marzo, al telefono, racconta ancora:

La mia assistente sociale mi ha chiamato oggi per dirmi di nuovo che dovevo andare a dormire nel rifugio della protezione civile dove dorme una quarantina di altre persone. Pur non sapendo se sono ancora contagioso? Mi sento meglio ma non so. Vuole mandarmi in un luogo dove ci sono 40 persone!

Ad ogni modo, il rifugio che mi propone la mia assistente sarebbe una soluzione unicamente per la notte. Durante il giorno, se ne fregano! Che farό tutto il giorno? Resterό fuori? Per fuggire dal freddo, non avrό altra scelta se non di rifugiarmi nella mia auto. Tutto è chiuso.

Questa notte ancora, posso dormire nel rifugio della protezione civile vuoto in cui sto dormendo da piú di una settimana. Ma domani devo andare a presentarmi alle 19.00 nell’altro rifugio dove dormono molte altre persone. Non voglio andarci. Non voglio ancora entrare in contatto con altre persone. Non sono ancora sicuro di non poter trasmettere il virus!

Non ho mai chiesto dei soldi all’Hospice. Lavoro e pago le mie assicurazioni e il mio affitto per conto mio. L’unica cosa che chiedo in questo momento è di aiutarmi in questa situazione del coronavirus. L’unica cosa che chiedo all’Hospice è un posto per questo periodo difficile da passare! E loro, non vogliono aiutarmi! La loro unica proposta, è un rifugio della protezione civile riempito di gente.

_Giovedí 26 marzo, al telefono, racconta ancora: _

Non avendo ancora trovato una soluzione, sta notte dormirό di nuovo nella mia auto…
Testimonianza raccontata telefonicamente il 23 marzo 2020.

1. L’Hospice général è il servizio sociale del canton Ginevra.