Una giornata all’interno di un centro federale di “registrazione”

 Testo pubblicato l’11 marzo 2017 sul blog del collettivo “Droit de rester” : https://droit-de-rester.blogspot.fr

Qualche racconto di vita quotidiana carceraria dei centri di registrazione, centri dai quali è difficile uscire per le persone incarcerate così come lo è entrare per chi vorrebbe dare loro sostegno. Dei “centri”/ campi di “registrazione”, di “sistemazione”, e già centri di “procedura”, dove tutto il processo di rinvio, dall’arrivo all’espulsione, è gestito all’interno della struttura nel giro di qualche settimana… La detenzione amministrativa come sistema di reclusione, di smistamento e deportazione delle popolazioni indesiderate. È ormai più che tempo di abbattere i muri di queste prigioni…

Nei centri federali, fai quello che ti dicono

8 marzo 2017. Oggi, la procedura d’asilo si svolge all’interno dei centri federali. In questi centri cosiddetti di registrazione o di sistemazione, certe persone soggiornano 3-4 mesi. Ce ne sono 3 in svizzera romanda; a Vallorbe, a Perreux e un altro a Rochat, in montagna, circa alla stessa altitudine di Sainte-Croix (oltre 1000 metri, NdT).

Questi centri federali sono sintomatici di una politica d’isolamento e di confinamento delle persone migranti all’interno di questa sorta di campi, dove vengono controllate dall’autorità a carico della loro richiesta d’asilo, e dissuase allo stesso tempo di restare in Svizzera. Non accoglienti, o piuttosto francamente ostili, questi centri impongono un regime di vita collettiva a persone che non si conoscono, che hanno origini e cultura differenti e che non avrebbero mai immaginato in precedenza di dover condividere lo stesso dormitorio, e praticamente lo stesso letto vista la grande promiscuità (gli stretti letti sovrapposti uno sull’altro sono incollati due a due), dove ci si ritrova nud* davanti agli/alle altr* nella doccia collettiva, una grande stanza priva di regolatore del getto, come in piscina.

Sono centri disciplinari dove l’autorità, rappresentata dagli/dalle agenti di sicurezza che solcano i corridoi, o dal personale dell’amministrazione per la fornitura delle coperte, dei pasti e del necessario per l’igiene, marca il suo potere invadendo sistematicamente la sfera privata delle persone e del loro modo di vivere.

Sono allo stesso tempo luoghi di depersonalizzazione, dove l’individuo viene percepito in maniera generica, identico agli altri e trattato come tale. Le persone richiedenti perdono la loro dignità in quanto le loro particolarità, ciò che le distingue dal gruppo, ciò che forma la loro individualità, non viene riconosciuto nè ascoltato.

Foto: centro federale di “registrazione” a Vallorbe, Canton Vaud.

Per esempio, i/le bambin* sono trattati come tutt*, costrett* a nutrirsi nella mensa dove i pasti a buon mercato che sono serviti non si adattano alle loro abitudini ed esigenze alimentari, né ai loro orari. I/le bambin* più piccol* si rifiutano di mangiare. Sono stanch* e piangono molto. Visto che è proibito portare cibo all’interno del centro, gli/le agenti di sicurezza buttano via, a vista di tutt*, yogurt, pane o succhi di frutta, che i/le genitori hanno avuto l’idea di tenere così da avere qualcosa per esempio per la sera, oltre all’oleosa pasta al tonno.

Le famiglie devono sopportare la separazione per lunghe settimane senza alcuna necessità legata alla procedura d’asilo, per la sola ragione che sono sotto l’autorità del SEM che si è abrogato il diritto di decidere della loro vita durante il loro soggiorno al centro di registrazione.

Per esempio, una donna incinta di tre mesi. È il/la su*prim* bambin* e come per tutte le prime gravidanze, il rischio di aborto spontaneo è elevato. Perde un po’ di sangue, ha dei rigurgiti, si sente stanca e inquieta. Non conosce né il francese né l’inglese. Non può spiegare la sua situazione né comprendere quello che le viene detto. Il suo compagno, che vive in Svizzera, ha chiesto più volte di poterla alloggiare da lui, dove avrebbe modo di riposarsi e vivere pacificamente la gravidanza. Con l’aiuto di qualcun* per tradurre, il personale dell’amministrazione le spiega che non è positivo per il suo dossier che lei vada dal suo fidanzato. Questo è falso, ma lei non conosce la Svizzera e ha paura. Quindi resta al centro ed effettua i lavori domestici che le vengono attribuiti regolarmente. In cucina, deve portare i contenitori pieni di stoviglie sporche. Sono le altre donne a sostenerla, prigioniere come lei degli obblighi e delle ingiunzioni del centro. Le dicono di sedersi, di nascondersi in un angolo e che possono fare loro il lavoro al suo posto.

Non bisogna che la si veda inattiva se no verrebbe sanzionata. Le sanzioni sono a discrezione del personale sul posto, pronunciate oralmente e immediatamente applicate, nella più perfetta arbitrarietà. Le persone non hanno diritto né di spiegarsi, né di difendersi. L’autorità ha sempre ragione in queste contese. Queste sanzioni consistono soprattutto in divieti di uscire dal centro per un giorno, negazione della paga per una settimana, in divieto di lavare la biancheria, o nella privazione del biglietto del treno per rendere visita alla famiglia nel weekend.

Nel caso specifico, la donna ha prolungato una volta il suo week-end dal suo fidanzato ed è tornata al centro martedì invece della domenica sera. La reazione alla sua indisciplina è stata quella di privarla di uscire dal centro per tutto il giorno successivo e il giovedì seguente, e la sua paghetta settimanale di 21 frs è stata abbassata a 6 frs. Il personale le ha precisato che al prossimo affronto alle regole del centro, le sarà impedito di uscire per tutto un weekend e che la sua paghetta settimanale verrà azzerata completamente.

La donna ha anche dovuto domandare a più riprese che si degnassero di proporle una cuccetta in basso, e non nella parte superiore del letto a castello, visto che deve alzarsi spesso durante la notte.

E questa altra donna, che soffre di artrite ad uno stadio avanzato, che ha le braccia e le gambe gonfie, che si sposta con difficoltà, è arrivata a dover supplicare pure lei per ottenere un posto in basso e non in alto nei letti a castello, dove non poteva salire che con fatica e ancora con più difficoltà, scendere. È stata separata dalla figlia e dal nipote. Quest’ultimo, di 7 anni, non capiva come mai non potesse alloggiare nella stessa stanza della sua nonna mentre aveva sempre vissuto con lei prima di lasciare il paese, essendoci molto affezionato. Al suo posto, il centro ha piazzato una coppia che si bacia, cosa che ha messo la giovane madre in una situazione imbarazzante. Più volte hanno chiesto di poter dormire nello stesso dormitorio e le autorità hanno rifiutato. Perché? Perché, così è stato detto loro, la nonna, sua figlia e il nipote non formano una «famiglia». Le «famiglie» non sono che le coppie con i loro figli minorenni, dunque le due donne non hanno diritto di alloggiare nello stesso dormitorio.

Non esiste nessuna legge che dice una cosa simile. Non è che un invenzione per mostrare chi comanda nel centro e per segnalare a queste donne che non sono le benvenute in Svizzera, che sono degli esseri inferiori, che devono obbedire e sopportare i vincoli che vengono loro imposti perché è il ruolo che è assegnato loro all’interno del centro, ovvero quello di essere sottomesse agli ordini delle autorità che gestisce la loro domanda d’asilo.

Un’altra famiglia, una coppia e le loro due figlie di 5 e 7 anni, hanno passato 3 mesi al centro di Vallorbe. Ne hanno sofferto la promiscuità, il manco d’attività e della sfera privata. Le ragazze si sono trovate mischiate indistintamente a un gran numero di adulti che non sono loro famigliari e con i quali non hanno alcun legame. Il dormitorio accoglieva altre famiglie e vi era un grande va-e-vieni, di gente che arriva, altra che parte non si sa dove. In questo centro non c’è nessuno spazio per i/le bambin* e sono rare le occupazioni che vengono loro proposte, da parte di volontari, ricevuti a “conta gocce” nel centro che non tollera gli sguardi dall’esterno. Non c’è nessun arredamento nel dormitorio, che non è altro che un luogo di transito e che non può dunque servire da salotto. Il refettorio è immenso e molto rumoroso, di modo che si ha rapidamente mal di testa. Le ragazze erano spossate da queste condizioni di vita. Il mattino non riuscivano ad alzarsi alle 7h00 e non ricevevano dunque la colazione perché il cibo veniva distribuito solo ad orari fissi. Non c’è nulla al di fuori degli orari dei pasti per i/le bambin*.

Non esiste alcun motivo di procedura di mantenere le persone così a lungo all’interno dei centri federali. L’udienza, spesso unica, ha luogo nella settimana che segue il loro arrivo e dopo non fanno che aspettare una decisione che viene loro spedita per iscritto e consegnata dagli/dalle agenti di sicurezza in una lettera chiusa, senza spiegazioni. Potrebbero benissimo anche aspettare la loro posta in un cantone.

Se l’accoglienza d’urgenza di una popolazione senza mezzi e senza alcun punto d’appoggio in Svizzera, implica senza dubbio dei limiti, questo non giustifica una durata di soggiorno in centri così poco adatti all’accoglienza di persone vulnerabili, malate, o di bambin*, per più di una settimana. È unicamente come pratica dissuasiva in materia d’asilo che questi centri federali prendono sempre maggiore importanza e anche come forma d’appropriazione da parte del SEM di tutti i campi dell’asilo, compresi i/le richiedenti asilo stess*, ovvero dell’accoglienza di quello e quella che, oppress* nel suo paese d’origine, è alla ricerca della libertà.

È unicamente come pratica dissuasiva in materia di asilo che i centri federali stanno prendendo sempre più importanza, e anche come forma di approprazione da parte della SEM di tutto il campo dell’asilo, compres* le persone richiedenti l’asilo stess* e il loro destino. Tutto questo, a prezzo delle libertà o della dignità delle persone, e sprezzante del diritto all’asilo stesso, vale a dire l’accoglienza di quelli e quelle che, oppress* nel proprio paese d’origine, sono in cerca di libertà.

Foto: progetto del “centro federale temporaneo” a Zurigo, della ditta DMBAU AG.

Fonte: https://renverse.co/Une-journee-dans-un-centre-d-enregistrement-federal-1014