Chisura della frontiera a Como-Chiasso

Aprire le frontiere subito! No borders, no deportations!

Aggiornamenti sulla situazine a Como-Chiasso a seguito della chiusura della frontiera e dei respingimenti vengono pubblicati a lato.

La politica europea di controllo contro i flussi migratori ha trasformato il mare mediterraneo in un’ecatombe per migliaia di migranti. Il controllo e la sorveglianza militare tanto del mediterraneo quanto di ogni altra frontiera esterna dell’occidente criminalizza o uccide le persone migranti: i/le più fortunati/e saranno condannati/e ad una vita e a dei lavori clandestini, i/le più sfortunati ad annegare in alto mare.

Quasi fosse una sorta di selezione naturale della manodopera richiesta dall’economia europea (e svizzera), nello stesso tempo in cui le persone affogano al largo delle coste o lungo tutto il pericoloso viaggio, essa, l’economia europea e svizzera, si giura paladina della libertà d’iniziativa e della libertà di circolazione di merci e capitali, costruendo le sue ricchezze sullo sfruttamento delle materie prime dei paesi del Sud, speculando sui prezzi, sulle vite delle persone, migranti e non, integrati/e come manodopera precaria e a basso costo.

D’altro canto però, se la gente sembra indignarsi davanti alle morti nelmediterraneo, ci sembra che nessuno osi mettere in discussione la politica securitaria, i controlli alle frontiere e la macchina delle espulsioni per i/le migranti. Anzi proprio alle nostre latitudini, il razzismo e l’odio verso ogni “straniero” sono sempre più presenti, così come cresce la richiesta di un maggiore controllo, se non la chiusura delle frontiere. Eppure le persone muoiono esattamente perché tutte le vie di fuga sono bloccate. In questa tragedia voluta, la Svizzera fa la sua parte, tanto attraverso la sua politica migratoria fatta di internamento ed espulsione, quanto con la sua partecipazione a FRONTEX.

I centri d’ “accoglienza” servono ad intimorire le persone migranti. Allineandosi alle misure anti-immigratorie richieste ed applicate in Europa, la Svizzera contribuisce a cementare le strutture di potere post-coloniali. Dagli anni ’70 si è realizzata una globalizzazione della produzione e del commercio. I mercati si sono liberalizzati e una buona parte delle industrie occidentali si è reinsediata nei paesi a basso costo in passato colonizzati, attuando in questo modo l’espropriazione di terra e la distruzione dei mercati locali. Come conseguenza di questo sfruttamento e nella speranza di una prospettiva migliore di vita, molte persone partono alla volta dell’Europa, come in passato tanti/e nostri/e bisnonni/e fecero alla volta delle Americhe.

All’interno dello spazio Schengen vige la “libertà di movimento”, festeggiata come una conquista dell’unità europea. Questa libertà di movimento, all’interno dell’economia neoliberale, serve innanzitutto a mettere ulteriormente le persone in concorrenza tra loro per quanto riguarda le condizioni di lavoro e i salari, garantendo ai capitali e alle merci, invece che alle persone, di muoversi liberamente. I permessi di soggiorno vengono ancora centellinati in base alle necessità economiche dei vari paesi. Il rafforzamento dei controlli alle frontiere e le espulsioni fanno dunque parte di questa politica di sfruttamento di una manodopera a basso costo. I centri d’accoglienza diventano così, più che luoghi di accoglienza, dei luoghi in cui la Svizzera può vagliare le richieste di soggiorno in base alle necessità di un economia che rimane essenzialmente coloniale.

Nel caso una persona migrante, nonostante il regime di controllo alle frontiere svizzere, riesce ad arrivare nel “nostro” paese, si trova subito rinchiusa nei centri d’accoglienza. Come tutte le prigioni, questi centri sono luoghi di isolamento, di annientamento delle persone e di stigmatizzazione. Nei centri d’accoglienza le persone sono divise in “giuste” e “false” rifugiate. In questo modo vengono rese illegali e diretti verso l’espulsione dal paese. Attraverso questa assurda separazione viene rafforzato il contesto razzista con cui ogni persona “straniera” si deve confrontare qui in Svizzera. Non esistono motivi più o meno giusti per migrare. Scappare dalla povertà e dalla disoccupazione generata dal sistema economico, in mano alle economie occidentali, è tanto necessario quanto scappare da una guerra o da persecuzioni.

Il Corpo delle Guardie di Confine è attivo dal 2011 nelle unità dell’Agenzia europea per le frontiere esterne (Frontex) in diversi paesi europei nonché nel mediterraneo. L’obbiettivo per la Svizzera è di contribuire annualmente a Frontex con un migliaio di giornate di attività.

Come organizzazione è un ibrido tra una polizia di confine ed un servizio segreto, oltre che una promotrice di politiche anti-migratorie. Dal francese “Frontieres exterieurs”, è il corpo esecutivo della politica (anti)migratoria dell’Unione Europea: dispone di ampi poteri decisionali e operativi, nonché di un budget che aumenta di anno in anno impiegato per finanziare anche progetti di ricerca militari.

L’ampia operatività concessa a Frontex gli permette di negoziare direttamente con i governi dei paesi confinanti le frontiere europee, sponsorizzando ed organizzando la repressione contro i rifugiati all’interno di una zona cuscinetto esterna ai confini europei. Una strategia per dissipare le responsabilità che ha come risultato, la tendenza ad espandere i confini Europei oltre il “vecchio continente”, aiutando a nascondere gli effetti di questa politica anti-migratoria agli occhi degli europei stessi. Il sostegno dato a campi di concentramento per rifugiati/e in paesi extra europei, nonché il sostegno alle spietate politiche disumane all’interno dell’Unione Europea, non può che portare a delle morti: migliaia di persone affogate, abbandonate in mare o nel deserto, lasciate morire miseramente o perseguitate con l’uso di armi da fuoco lungo i confini.

I/le rifugiati/e sono persone spinte fuori dai loro paesi di origine dal saccheggio delle economie neocoloniali, dai conflitti fomentati dai venditori di armi occidentali e svizzeri, dai disastri ambientali causati da un cambiamento climatico quale effetto di due secoli di industrializzazione, ed infine dalle invasioni neo-imperialiste per il controllo delle “risorse naturali”. Non vediamo quale altra scelta potrebbero avere, se non quella di rischiare la vita in direzione del “miracolo europeo”. La sempre maggiore stratificazione sociale, ovvero chi all’interno della società sta al vertice (pochi) e chi alla base (tutti gli altri), la fame, la povertà e la paura, sono i motivi per cui intraprendere un viaggio attraverso deserti, attraverso mari, nelle stive degli aerei o nei rimorchi di camion, accettando di diventare “traffico di essere umani” per conto di organizzazioni tanto criminali quanto gli Stati nazionali. In questa fuga sia Frontex che le nostrane guardie di confine, rappresentano solo un ostacolo ulteriore. Fin quando continuerà ad esistere l’egemonia occidentale e le sue politiche neocoloniali, continuerà pure la determinazione di intere famiglie e comunità di rischiare la vita per la speranza di averne una migliore.

Per questo pensiamo che il nostro contributo solidale verso coloro che arrischiano la vita per raggiungere l’Europa, debba essere innanzitutto l’attacco contro quell’intreccio di apparati, strutture e tecnologie repressive che oggi costituiscono la nuova e più efficiente recintata linea di confine. Guardie di confine, polizia, telecamere e droni, così come i centri di reclusione dei migranti, i bunker e altri simili lager, come pure i discorsi populisti di politici e giornalisti, nonché gli infami “bravi cittadini” che denunciano chi arriva illegalmente: tutto questo é parte della macchina repressiva.

La caccia all’ “illegale” e le loro quotidiane deportazioni vanno sabotate. Basta frontiere, basta nazioni, fermiamo le deportazioni!

Alcuni/e nemici e nemiche di ogni frontiera ed di ogni gabbia.