Antifascismo negli Stati Uniti: scorrimento di un conflitto con testimonianza dalla California

Fonte: Redazione Rosso e Nera

Negli Stati Uniti i nazionalisti sono tornati allo scoperto. Il movimento Antifa ed altre forze militanti si stanno organizzando per contrastare il fenomeno tentando di scacciare la presenza neonazista dalle strade e dal panorama politico. Siamo stati ad una delle conferenze organizzate in alcune città svizzere, dove un militante antifascista in visita da oltre oceano ha fornito una descrizione informativa cronologica dello sviluppo del conflitto, tutt’ora in svolgimento. L’attenzione verrà posta in particolare sugli eventi che riguardano la zona della Baia di San Francisco, città definita dal compagno una sorta di “hotspot” dell’estrema destra statunitense. Dall’elezione di Donald Trump si sono verificati in particolare in questa regione diversi tentativi di “rally” (raduni) nazionalisti, contro i quali si sono presentate altrettante contro-manifestazioni di carattere antifascista. Il testo può presentarsi lungo nel suo insieme, questo può comunque essere sorvolato con gli occhi dedicandosi maggiormente ad alcune parti.

Ragguaglio storico

Sebbene gli Stati Uniti stessi siano fondati sul razzismo, i gruppi di stampo neonazista cominciarono a prendere piede nelle città solo durante i passati anni ’80. Questi commettevano aggressioni, omicidi, atti di vandalismo in particolare ai danni di persone con un passato migratorio. Visto che i metodi “social-liberali” (democratici) non servirono a bloccare l’ondata di violenza razziale, urgeva un altro tipo di azione. Nel 1987 nacque dunque a Minneapolis (Minnesota) il primo gruppo antifascista nordamericano organizzato sulla base dell’azione diretta. Il gruppo, chiamatosi “The Minneapolis Baldies”, – composto da punks e skinheads – riuscì a scacciare i neonazisti dai quartieri tramite attacchi costanti e impedendone la libertà di azione e di aggregazione. Ma il problema era lungi dall’essere circoscritto ad una sola città, infatti dalla fine degli anni 80′ fino a circa il 2001-2002 le strade di molte città statunitensi furono teatro di massive violenze razziali. I neonazisti versarono sangue e uccisero molte persone: migrant*, gays, trans, militanti antifascist*, della sinistra radicale e anarchic*. Il compagno tiene a sottolineare che negli Stati Uniti praticamente ogni militante antifascista ha perso qualcun* ucciso per mano/arma de* neonazist*.

(The Minneapolis Baldies – Foto da Fb: “The Minneapolis Baldies”)

Fu fondata dunque nel 1987 la “Anti-Racist Action” (ARA) – da membri dei “Baldies” e da altr* attivist* – nell’intento di creare una rete antifascista su un piano più ampio. L’ARA crebbe poi negli anni ’90 grazie anche al contributo del movimento rivoluzionario “Love and rage” il quale si impegnò nella creazione di nuovi gruppi in altre località. La lotta diretta riuscì a contrastare in maniera incisiva il fenomeno della violenza razziale, ma a caro prezzo: troppe perdite. Il periodo più nero durò fino al 2002 quando i neonazisti annunciarono una marcia a Washington D.C contro la quale venne organizzata una manifestazione. Ci furono degli scontri e lo svolgimento della marcia venne impedito. Quello fu il loro ultimo tentativo di mobilitare in massa. La rete antirazzista/antifascista riuscì nel frattempo a consolidarsi in particolare in nord America e in Canada, contrastando i neonazisti tramite l’azione diretta fino alla sua dissoluzione nel 2013 – anno in cui è nato l’Antifa, un gruppo unitario senza confini.

Sviluppi contemporanei e i “nuovi” gruppi di estrema destra

Negli ultimi anni i neonazisti stanno cambiando tattica. Rendendosi conto di avere una scarsa presenza nelle città, tentano di sfruttare Internet per avvicinare e reclutare nuova gente. Fanno questo utilizzando un metodo comunicativo rapido, costante e mirato “alla pancia”, spesso semplicemente tramite brevi video o “memes” virali sui social network. Il loro obbiettivo tipo è l’uomo bianco, meglio se giovane. Sono stati alcuni avvenimenti dell’ultimo ventennio ad aver spinto l’estrema destra a riorganizzarsi; per esempio i fatti dell’11 settembre, l’Islam il nuovo nemico, la crisi economica o la nascita del movimento “Black Lives Matter”. Ma forse più di tutto, è stata l’elezione di Donald Trump a dare loro una sorta di via libera per uscire allo scoperto.

(Serpentello delle otto organizzazioni nazionaliste e anticomuniste radunate dall’A-R per il rally “Unite the right” – Foto da splcenter.org)

Attualmente negli Stati Uniti si possono identificare otto gruppi di estrema destra più o meno attivi – “KuKluxKlan” escluso. Questi variano dai nazionalisti più classici a gruppi di “patrioti” armati, qui di seguito i nomi delle organizzazioni nazionaliste riunite ai “rally”: Alt Right – National Socialist – Southern Nationalist – Identitarian/Identity Evropa – Nationalist – Libertarian – Anti-Communism – Kekistani. Nel testo ci dedicheremo solo ad alcuni di questi. In particolare ci soffermeremo su “Alt Right” – destra alternativa – un gruppo molto attivo e in crescita. Con l’appellativo “alternativa” si vogliono smarcare dai partiti borghesi e dagli altri gruppi nazionalisti. Sono i/le nuov* nazist*; si vestono e si presentano in maniera diversa, comunicano con un linguaggio diverso, la sostanza tuttavia è la stessa (merda). Malgrado queste distinzioni “l’Alt-Right” ha comunque contatti con tutti gli altri gruppi dell’area nazionalista, ma avremo modo di tornarci in seguito visto che proprio l’A-R tenta frequentemente di radunare tutte le forze suprematiste ad eventi e “rally”. Un altro gruppo che tenta di imporsi sul panorama politico con nuovi volti e nuovi stili comunicativi è “Identity Evropa”, attivo principalmente nella zona di San Francisco. Il compagno fa notare che San Francisco è una città completamente gentrificata da un processo sviluppatosi molto rapidamente; i quartieri poveri sono stati man mano sostituiti da quartieri per un ceto più alto. La popolazione degli allora quartieri popolari è stata dunque mandata ancora più lontano dalla città. Il gruppo “Identity Evropa” agirebbe coordinatamente a tale processo di gentrificazione adattando la propaganda a dipendenza di dove si spostano gli stranieri poveri e dove si spostano i bianchi. Le mobilitazioni non sono invece il punto forte dell’I.E, il quale ha deciso dopo alcuni tentativi fallimentari di eseguire solo delle pseudo-manifestazioni di corta durata e in segreto. Poche persone, uno striscione, qualche foto o un breve video e poi spariscono prima che arrivino i/le militanti antifascist*. Il compagno commenta dicendo che questi non avrebbero semplicemente la capacità di organizzare una manifestazione, dunque per il momento non ci provano neanche. Il tema dell’immigrazione comunque è facilmente manipolabile dall’estrema destra, che tenta ovviamente di cavalcare il sentimento di paura della popolazione. Il 17 ottobre 2016 per esempio hanno tenuto un piccolo “rally” – durato non più di 20 minuti – a tema anti-immigrazione. “No sanction” – “No sanzioni”, c’era scritto sul loro striscione in difesa della polizia di San Francisco, la quale si opporrebbe alla cooperazione con la polizia federale in materia di immigrazione, rischiando appunto delle sanzioni da Washington D.C. “Make San Francisco great again” esclama al megafono una delle personalità di spicco di I.E, Nathan Damigo.

Sulla questione propaganda e gentrificazione il compagno racconta di un manifesto affisso in alcuni quartieri bianchi gentrificati di San Francisco, sul quale si invitava i/le bianch* a mobilitarsi contro il “Black Lives Matter” definendolo un movimento “razzista al contrario”, il quale scopo finale sarebbe la distruzione dei bianchi – simili accuse furono mosse tra l’altro già alla fine degli anni ’60 per definire il movimento delle “Black Panthers”. Il manifesto in questione sarebbe stato appeso anche in quartieri non gentrificati – con una popolazione a maggioranza afroamericana o latina – allo scopo di intimorire la comunità residente e di scoraggiare l’attivismo antifascista. Un segnale chiaro questo, eseguito subito dopo l’elezione di Trump: “Ora che c’è lui possiamo uscire allo scoperto”. Anche a Sacramento (CA) l’elezione del 45° Presidente ha dato una sorta di “via libera morale” alle frange nazionaliste. A giugno 2016 un neonazista ha attaccato una folla di manifestanti antirazzisti con un coltello, ferendo sette persone. Malgrado alcun* presenti abbiano scattato diverse foto dell’individuo – rendendolo perfettamente riconoscibile – la polizia non ha mosso un dito. Va ricordato che Donald Trump stesso pare abbia delle radici tra i suprematisti bianchi, nonché dei parenti nel KKK attuale. Ma i legami del neo Presidente con gli ambienti dell’estrema destra non si fermano qui: anche il capo stratega (coordinatore) della sua campagna elettorale, tale Steve Bannon, sarebbe il presidente esecutivo di Breitbart News – un sito ultraconservatore che pare intrattenere buone relazioni con l’Alt-Right. Bannon è stato poi licenziato dall’amministrazione Trump in agosto (2017), forse a causa delle troppe critiche o per discussioni interne al partito repubblicano.

Sunto cronologico del conflitto nel 2017

(La protesta di fronte a la U.C Berkley – Foto democracynow.org)

Il conflitto torna ad infiammarsi a inizio febbraio quando un gruppo di studenti di destra – “Berkley Patriot” – decide di invitare Milo Yannopoulos – commentatore politico e personalità mediatica vicina dell’Alt Right – per una conferenza alla U.C University sul tema “free speech”, libertà di parola. Considerando alcune annotazioni storiche, il compagno tiene a sottolineare la palese provocazione di questo evento. Negli anni ’60 infatti si era sviluppato proprio all’università di Berkley un movimento studentesco di sinistra basato sul diritto al “free speech”. Il movimento si batteva contro la destra, il mccartismo e l’anticomunismo, rivendicando la libertà di espressione e la possibilità di dedicarsi anche allo studio di testi socialisti e marxisti. Il fatto che Yannopoulos – noto per le sue posizioni razziste, sessiste e omofobe – venga invitato in quella stessa università mascherato dallo slogan dell’epoca non è andato giù alla maggior parte de* student* e della comunità locale. Malgrado ciò la direzione dell’università sosteneva che il “free speech” fosse la cosa più importante in quanto, secondo loro, tutti dovrebbero avere il diritto di dire la loro, neonazisti compresi. L’evento è stato cancellato all’ultimo momento a causa delle proteste che stavano avendo luogo all’esterno dell’università. Più di un migliaio di persone – tra studenti, solidali e attivist* – stavano esprimendo il loro dissenso dinnanzi all’edificio. Tra cori e slogan vengono accesi anche dei fuochi e lanciati dei petardi. Alcuni gruppi tentano di entrare nell’edificio riuscendo a superare solo le porte di un’entrata frontale. Milo Yannopouolos e i pochi sostenitori riusciti a raggiungere l’aula della conferenza per una spiacevole serata hanno tentato poi di tagliare la corda senza farsi notare, fallendo nell’intento. Alcun* militanti antifascist* sono riusciti infatti a trovare qualche gruppo di neonazisti in fuga; serata di pestaggi e inseguimenti, “nazi not welcome!”.

A fine febbraio il sangue torna a scorrere per mano dei suprematisti, quando il KuKluxKlan decide di organizzare un “rally” ad Anaheim (CA) il 27 febbraio. Si sono presentati una manciata di fanatici, a disturbarli c’era una folla – membr* della comunità afroamericana e militanti antifascist* – indignata. La situazione è degenerata rapidamente e si è arrivati allo scontro. Nei video girati in rete si può vedere come i suprematisti tentavano di infilzare i contro manifestanti con le aste delle bandiere americane o confederate, mentre i contestatori rispondevano con pugni o pezzi di legno. Circa un’ora dopo l’inizio dei tafferugli un manifestante antirazzista viene ferito da un’arma da taglio cadendo a terra. Qualcuno gridava: “È stata legittima difesa!”. Vengono trovati successivamente altri due manifestanti pugnalati, uno di questi in modo grave. Alla fine della giornata la polizia ha comunicato di aver effettuato 13 arresti: 6 del KKK e 7 manifestanti antifascisti/antirazzisti.

Aprile

(Scontri di piazza sabato 15.04 a Berkley – Fermo immagine da KGO-TV)

I fatti di Berkley hanno mandato fuori dai gangheri l’area “social-liberale” in quanto questa non condivideva affatto i metodi adottati dall’Antifa per contrastare l’evento di Yannopoulos all’università. Si sono lagnati in lungo e in largo delle frange anarchiche e comuniste del movimento, lanciandosi così nell’ormai consueta difesa del “free speech” quale priorità suprema assoluta. Mentre i media e i partiti alimentavano il dibattito, l’Alt Right lanciava l’appello per un “rally” proprio a Berkley, il 15 aprile. Al “Patriot Day – Free speech” viene invitata – tra gli altri – Lauren Southern per un discorso. Southern è membra del Libertarian Party of Canada, e in maggio 2017 ha preso parte alla spedizione fascista del gruppo Génération Identitaire nel Mar Mediterraneo con lo scopo di bloccare la tratta migratoria. In quell’occasione viene arrestata dalla guardia costiera italiana insieme a* altr* camerat*. Sembra che funzioni così in casa dell’estrema destra: chiunque voglia parlare di odio e di razzismo è il benvenuto, tanto “sotto” la bandiera statunitense si è “patrioti” e non razzisti. Al “rally” di Berkley c’erano più di 500 autoproclamat* “patriot*” radunati in un parco. La maggior parte esibiva bandiere statunitensi e si definiva patriota, ma poi si esprimeva come i nazisti. Molti erano armati di spranghe, mazze o scudi metallici. A contrastare l’evento sono accorsi qualche centinaia di manifestanti del movimento Antifa, la maggior parte erano skinheads o militanti anarchc* e della sinistra radicale; mentre la “sinistra legale” invece è rimasta a casa con il broncio. Malgrado la supervisione di circa 250 poliziott* la situazione si è scaldata in fretta scatenando una rissa generale. Lo svolgimento del rally è stato fermamente disturbato e i neonazisti (armati) hanno preso una legnata non indifferente. La polizia ha arrestato 21 persone, la maggior parte tra il fronte antifascista, mentre i feriti sarebbero stati undici. Sui media passano le immagini dei neonazisti sanguinanti con i sottotitoli: “Scontri tra dimostranti pro- e anti-Trump”. A riguardo il compagno fa notare che sui media americani i nazi e i saluti a Hitler non vengono neanche nominati, pare si tratti solo di una disputa “pro” e “anti” Trump. Il conflitto è in realtà molto più profondo e complesso.

Maggio

(Damigo colpisce una giovane antifascista durante l’assalto – Fermo immagine da youtube.com)

L’A-R sembra decisamente infastidita dal fatto che non riesca più ad organizzare un rally “come si deve”, senza che la festa venga rovinata da* antifascist* si intenda. Cominciano così a pensare alla difesa personale. Nasce per esempio il R.A.M (poche informazioni a riguardo) il quale dovrebbe fungere da servizio d’ordine agli eventi dell’Alt Right. Il gruppo si addestrerebbe anche con armi di diverso tipo. Dopo l’ultimo tentativo di rally – fallito – a inizio aprile, l’Alt Right annuncia un altro grande raduno in maggio, proprio a Berkley, affermando di volersi riprendere la città dalle grinfie degli anarchici e dei comunisti. Centinaia di neonazisti sono volati a Berkley da tutti gli Stati Uniti per partecipare all’evento. A disturbarli è arrivato un gruppo di antifascist*. I numerosi neonazisti sono stati contenuti dalla polizia per diverse ore, hanno poi trovato un varco che ha permesso loro di attaccare un gruppo di antifascist*. Virale il video di Damigo – personalità di “Identity Evropa” – che tira un pugno in faccia ad una giovane militante antifascista. Negli ambienti nazionalisti alleggia una certa soddisfazione per quel margine di manovra ottenuto a Berkley. Per concludere il compagno mostra un’immagine che a suo parere riassumerebbe la giornata: un signore anziano vestito di bianco con una tracolla frontale dalla quale sporgono dei cartellini con su scritto “Empatia”, dietro di lui si scorgono due neonazisti mascherati che si allacciano i guanti pronti ad un agguato ag* antifascist*. Un invito a prendere un cartellino “Empatia” e fermarsi a riflettere provando a mettesi nei panni de* altr*. Questa foto impersona proprio quel sentimento “social-liberale” del “dobbiamo dialogare e tutto andrà bene”. Un pensiero carino, ma che la storia ha più volte dimostrato non essere idoneo alla circostanza.

Un altro dettaglio che il compagno tiene a sottolineare, in riferimento alle mobilitazioni dell’Alt Right in generale, è la singolarità del fatto che spesso tra le sue file si può scorgere qualche afroamericano o latino. L’A-R intrattiene infatti buoni rapporti con coloro che, malgrado il passato migratorio alle spalle, sono contro l’immigrazione e favorevoli all’incremento dei controlli e delle deportazioni. Questo permette alla destra alternativa di uscirsene con affermazioni tipo: “Hey guardate chi c’è qua, non siamo mica razzisti!”. L’Alt Right cerca dunque di vendersi proprio come un nazionalismo alternativo: “Non siamo nazisti o razzisti, la nostra via funziona: pure i neri e i latinos possono farne parte”.

Il conflitto con la “right-wing” tuttavia si consuma anche su altri piani, come quello giuridico per esempio. L’Alt Right come anche i social-liberali – innervositi dal fatto che a Berkley la polizia non abbia effettuato alcun arresto tra le file de* Antifa – ha mandato dei “collage” fotografici alla polizia. Questi mostravano delle coppie di immagini; da un lato foto di partecipanti a manifestazioni antifasciste e dall’altra foto di individui mascherati. Sono state poi marcate in rosso delle improbabili congruenze tra le coppie di foto, come per esempio il colore degli spallacci dello zaino. Un “gioca alle differenze” casalingo che avrebbe la presunzione di accusare qualcun* di reati legati alle contro-manifestazioni. Difficile a credersi ma questo materiale amatoriale è bastato alla polizia per muoversi immediatamente e irrompere mano armata in casa di alcun* militanti della left-wing, arrestandoli. Contro uno di loro sarebbero state mosse anche delle accuse pesanti. Insomma un neonazista attacca una folla di antifascisti e antirazzisti con un coltello e – malgrado l’abbondanza di materiale provocatorio inviato alle autorità – la polizia non si muove, ma se degli “amateures” mandano dei collage fotografici, questi vengono presi subito sul serio e della gente viene strappata via da casa.

Mentre dopo l’ultimo rally a Berkley l’estrema destra ha ripreso un po’ di coraggio, un gruppo dell’Alt Right si è dato appuntamento ad Oakland davanti a un bar conosciuto negli ambienti antifascisti. Qui hanno fatto una foto, l’hanno caricata su twitter “trollando” l’Antifa e poi si sono dileguati. Un’azione palesemente provocatoria, proprio ad Oakland, una città con una storia antirazzista non indifferente pensando per esempio al movimento per i diritti civili o al partito delle Black Panthers – nato proprio in questa città. I/le compagn* di antifascist* hanno ammesso di non averl* neanche notat*, restando dell’idea che questi si siano mossi discretamente e siano spariti non appena la foto è stata scattata.

A fine maggio però il vento torna a cambiare, quando un neonazista dell’Alt-Right commette l’ennesimo versamento di sangue qualcuno comincia a porsi due domande. Portland, 27 maggio: il 34enne Jeremy Christian grida parole di odio razziale indirizzate a due donne musulmane, alcuni presenti si avvicinano e gli intimano di smetterla, questo estrae un coltello e ferisce tre persone, due delle quali mortalmente. L’uomo viene arrestato in seguito. Un neonazista aggredisce tre uomini che volevano difendere due giovani donne; che il nemico sia un altro? Che sia forse l’estrema destra quella davvero violenta? L’A-R corre ai ripari tentando di distrarre l’attenzione dell’opinione pubblica “ricordando” che la violenza vera è provocata dai migranti e dagli stranieri. Come dice dice il Presidente Trump: “I messicani sono stupratori”.

Agosto

In agosto diversi gruppi nazionalisti, il KKK e supporters di Trump annunciano un grande “rally” – “Unite the right” – in memoria degli Stati del sud a Charlottesville (Virginia). L’evento suddiviso in due giorni – venerdì 11 e sabato 12 agosto – faceva parte di un ampio programma di mobilitazioni, circa una quarantina. La sera dell’ 11 agosto, un centinaio di nazionalisti prendono parte ad una fiaccolata attraverso il campus dell’università della Virginia scandendo slogan come “Le vite dei bianchi contano” o “Gli ebrei non ci rimpiazzeranno”. Un evento simile non aveva luogo da una ventina d’anni. Ma il peggio doveva ancora arrivare. Il grande “rally” prosegue sabato 12 con un corteo, puntualmente contrastato da una contro-manifestazione antifascista e antirazzista. Si verificano subito degli scontri e la marcia nazionalista viene rovinata. Domenica 13 agosto poi, quando un gruppo della “left-wing” stava manifestando per le strade di Charlottesville – rincarando l’indignazione per il “rally” del giorno prima – un neonazista alla guida della sua auto si precipita ad alta velocità sulla folla ferendo diciannove persone e uccidendo Heather Heyer, una giovane attivista antirazzista stroncata a 32 anni proprio mentre stava manifestando contro l’odio razziale. L’uomo – James Alex Fields – è stato arrestato per omicidio ore più tardi. Trump dichiara “I responsabili dei fatti di Charlottesville sono i nazionalisti così come gli antifascisti!”. Senza parole.

(James Fields investe la folla con la sua auto – Fermo immagine da youtube.com)

Dopo i fatti di Charlottesville il cambiamento del pensiero generale continua a farsi più concreto. Qualcun* comincia a dire: “Hey, forse abbiamo un problema di neonazisti…”. All’evento successivo dell’ampio programma di mobilitazioni dell’estrema destra – “Boston Free Speech Rally” – non si sono presentati in molti, forse perché ad attenderli c’era una manifestazione antifascista enorme. Più di 40’000 persone hanno manifestato per le strade di Boston per ricordare Heather, per ricordare che il nazifascismo uccide e per dimostrare che i neonazisti non sono i benvenuti. La manifestazione del 19 agosto a Boston è la più grande manifestazione antifascista/antirazzista della storia degli Stati Uniti. L’assassinio di Heather ha spinto tantissimi compagni e compagne antifascist* a viaggiare a Boston per impedire nella maniera più assoluta la marcia neonazista. Il compagno fa notare che neanche durante la seconda guerra mondiale – quando in Europa c’era il nazi-fascismo – negli Stati Uniti ebbe luogo una manifestazione antifascista di simili dimensioni. I nazionalisti sono dunque rimasti confinati in un parco protetti dalle forze di polizia. Erano decisamente a disagio vista la marea di gente intorno a loro e se ne sono potuti andare via solo quando la folla della manifestazione antifascista si è dissolta, ovvero verso sera. L’Alt Right annulla in seguito una trentina dei quaranta eventi sul “free speech” programmati. In questo periodo viene anche bloccato “Stormfront”, un importante sito di informazione dell’area neonazista. Pare sia stato poi successivamente riattivato tramite un provider russo. Nelle settimane seguenti ai fatti di Charlottesville sono state chiamate diverse manifestazioni antifasciste in differenti città. Ad Oakland per esempio c’erano circa 700 persone, buona parte di queste organizzate nel blocco nero. Il compagno commenta l’esito della manifestazione definendolo tutto sommato positivo se si pensa che l’appello è stato diffuso con poco preavviso, tuttavia egli si rammarica per la memoria troppo corta degli americani.

In questo periodo il movimento antifascista si impegna anche a mantenere viva la lotta nei quartieri e prova ad avvicinare nuova gente alla tematica. “Nazis are murdering us – Fighting nazis is our social duty” cita un volantino distribuito in alcuni quartieri della Baia dal movimento. Si cerca di far comprendere la minaccia che rappresentano i gruppi propagatori di odio e violenza ribadendo che l’avvisaglia neonazista non si limita alle botte. Andrebbe anche ricordato che l’Antifa è sì un movimento che combatte i fascismi, ma lo fa tramite un ventaglio diversificato di attività come per esempio la ricerca, l’informazione, i contributi alla difesa personale nei quartieri popolari fino all’azione diretta. L’azione diretta mira all’estenuazione dei fascisti disturbandoli e attaccandoli costantemente quando questi si riuniscono o si fanno vedere nelle città. Benché l’azione diretta comprenda anche pratiche violente, l’intento di uccidere non è mai l’obbiettivo. L’omicidio e le pugnalate sono notoriamente materia nazifascista, anche in Europa. Accanto agli appelli a mobilitarsi viene organizzato anche un festival antifascista con lo scopo di avvicinare gente al movimento. All’evento svoltosi su quattro giorni in città differenti, erano previsti diversi tipi di stili e di musica per poter attirare persone variegate e provenienti da ambienti distinti tra loro.

Il week-end del 26-27 agosto l’Alt-Right – per bocca di Kyle Chapman e Joey Gibson – convoca due “rally” nella zona della Baia (CA); sabato a San Francisco e domenica a Berkley. A contrastare entrambi i “rally” vengono chiamate due manifestazioni antifasciste. Un fine settimana pessimo per l’estrema destra, iniziato con l’arresto dell’organizzatore del “rally” in programma a Berkley, accusato di possesso di arma illegale. Chapman infatti sarebbe stato visto a inizio marzo attaccare e colpire diverse persone con una sorta di manganello estraibile. Il rally a San Francisco viene invece annullato il giorno prima, l’organizzatore Gibson dà la colpa alle autorità politiche locali, le quali avrebbero imposto delle restrizioni ai nazionalisti come il divieto di portarsi armi da fuoco o membri di milizie armate. Nonostante l’annullamento del “rally” in migliaia sono giunti a San Francisco per manifestare contro l’estrema destra, questo mentre Gibson annunciava di voler tenere comunque una conferenza stampa a San Francisco. Una conferenza disastrosa visto che questo si è dovuto nascondere in un appartamento con il co-organizzatore Kyle – nel frattempo già rilasciato – mentre la polizia bloccava il perimetro. Intorno alla zona transennata dalla polizia i/le migliaia di contestatori occupavano le strade. Anche i lavoratori portuali di San Francisco membri del sindacato “ILWU local 10*” hanno dichiarato una giornata di sciopero prendendo parte alle contro manifestazioni cantando “Down, down, down with the fascists, power, power, power to the workers!”

Domenica 27 agosto invece l’Alt-Right tenta di prendersi “MLK Civic Center Park” a Berkley sotto il motto “No marxism in America”. Sono di nuovo in migliaia ad arrivare per le contro-manifestazioni riuscendo a cacciare i nazionalisti fuori dal parco senza grandi difficoltà. A partecipare c’erano “social-liberali”, gruppi di femministe, “left wing” e anche un considerevole blocco nero schierato dietro allo striscione “Avenge Charlottesville, Protect Your Community” – “Vendica Charlottesville, proteggi la tua comunità”. Chi anche questa volta parlava di violenti scontri non riportava il vero; sono volate delle mazzate ma i nazionalisti vengono scacciati senza tanti spargimenti di sangue. I/Le compagn* che durante il resto della giornata avevano monitorato le comunicazioni dei nazionalisti sui social network, hanno riferito che questi che questi si sono consigliati a vicenda di tenersi lontano definendo la zona “non sicura”. Fine settimana tutto sommato positivo dunque, notando anche “il ritorno” dei “social-democratici” e relativo “entourage” alle contro manifestazioni sul posto, insieme agli antifascisti. Che il pensiero generale stia davvero cambiando, anche se lentamente? Che siano stati alcuni degli eventi recenti a spingere la “sinistra legale” a tornare per le strade contro la “right wing”?

(Il blocco nero raggiunge il parco dietro allo striscione “Avenge Charlottesville, Protect Your Community” – Foto da itsgoingdown.org)

L’Antifa sul territorio

Ci sono momenti per affrontare l’estrema destra in maniera diretta e altri dove ci si dovrebbe dedicare ad attività di natura più sociale. Un esempio è il supporto e la solidarietà dell’Antifa agli sfollati di Houston (Tx), dopo il passaggio dell’uragano Harvey a fine agosto. In questa occasione viene organizzato dal movimento un mutuo soccorso per supportare la comunità nei costi imprevisti, oltre a coordinare una rete della solidarietà. In questa maniera molt* degli sfollat* che sarebbero finiti per strada hanno poi trovato una sistemazione temporanea a casa di chi ha voluto dare una mano. Il movimento si dedica anche ad una campagna per la “non collaborazione con l’I.C.E” – Immigration and Customs Enforcement – del dipartimento della sicurezza interna, una polizia dell’immigrazione che indaga sui permessi e le situazioni amministrative de* stranier*. Questo reparto era già stato potenziato da Barack Obama – tanto e vero che durante il suo mandato sono state deportate più persone che sotto qualsiasi altro Presidente – ed è ora tra le grazie di Trump. Il neo presidente ha infatti annunciato fin da subito la sua volontà nel sostenere a sua volta questo dipartimento della sicurezza interna. “Dont’t talk with the I.C.E – Non parlare con l’I.C.E” si legge su un manifesto distribuito dall’Antifa nei quartieri, sotto la vignetta di un agente che guarda una strada deserta dove le finestre e le porte delle case sono appena state chiuse in fretta e furia. Accanto a questo si cerca di sensibilizzare la popolazione nell’essere solidale l’uno con l’altra invece di fare la spia danneggiando chi probabilmente sta nella medesima barca.

Noi saremo attivi!”

Il compagno conclude con una notizia fresca; il gruppo di studenti Barkeley Patriot – il quale aveva già invitato Milo Yannopoulos all’università in febbraio – ha deciso all’ultimo momento di annullare gli eventi a tema “Free speech” che avrebbero dovuto avere luogo all’università di Berkley (UCB) dal 24 al 27 settembre. Una decisione presa su consiglio del gruppo legale del “Berkely Patriot”, i/le quali non comunicano ragioni specifiche per la cancellazione dell’evento. Yannopoulos risponde stizzito sui social dicendo che lui e i suoi proseguiranno nella difesa del “Free speech” con o senza l’aiuto degli studenti. Tra i/le promess* oratori/rici anche l’autore David Horowitz, l’attivista Lisa De Pasquale (ACU) e la collaboratrice di Breitbart – portale news dell’estrema destra – Ariana Rowlands. Altri oratori hanno invece stranamente dichiarato di non saperne niente e di non essere stati contattati per nessun discorso, come Ann Coulter e l’ex stratega della Casa Bianca Steve Bannon. Dopo la cancellazione degli eventi, Yannopoulos annuncia via Facebook che un rally a Sproul Plaza (Berkley) avrà comunque luogo domenica 24 settembre. Già sabato però, centinaia di persone scendono in strada bloccando Telegraph Avenue sotto il motto “No hate in the Bay: March against white supremacy”. Il compagno riferisce che la lotta Antifa è ormai sulla bocca di tutti, questo perché si continua a essere presenti e a mobilitare nei quartieri. Viene tuttavia riconosciuta una certa difficoltà nel creare un movimento più ampio, organizzato nei differenti strati della comunità. Ci vuole più attivismo, “uscire” ed instaurare un rapporto solido con la comunità. “In ogni caso, finché i neonazisti saranno per le strade, nelle scuole, nelle istituzioni, sui media e via dicendo… noi saremo attivi!” conclude.

Note al testo
– Social-liberali/Sinistra legale: Nel testo si allude di frequente a* “democratic*” (Democratic Party) con termini come “social-liberali o della “sinistra legale”. Si cerca di creare quella distinzione nella definizione partitica da un punto di vista europeo.

– Lo scontro: Mentre in Europa siamo abituati a vedere la polizia mettersi tra le due fazioni – fasciste e antifasciste – impedendone il contatto diretto, negli USA le due parti giungono invece spesso e volentieri allo scontro. Il compagno conferma questa differenza ma ci tiene tuttavia a specificare la particolarità del caso Berkley, città dove la polizia sarebbe sotto forti pressioni dell’opinione pubblica vista la brutale repressione di alcune dimostrazioni pacifiche avute luogo in città negli ultimi tempi. Le forze dell’ordine preferiscono dunque tenersi un po’ in disparte per evitare di commettere qualche abuso e di finire di nuovo in mezzo alla bufera. Ma la polizia in generale – avendo contatti con gruppi neonazisti – se può prova comunque a favorire le frange della “right-wing” permettendole di avvicinarsi agli Antifa sperando che questi le prendano. Gli/le agenti intervengono di sovente solo in seguito, arrestando proprio alcun* militanti antifascist*, come abbiamo visto succedere a Charlottesville per esempio. Dinamica in realtà neanche troppo sconosciuta in Italia, se pensiamo alle volte che le forze di polizia favoriscono o proteggono i militanti di “Casa Pound” o di “Forza Nuova”.

– ILWU: International Longshore and Warehouse Union – È un sindacato laburista americano che rappresenta principalmente i/le lavoratori/trici portuali della costa occidentale, del Canada e dell’Alaska. È anche presente alle Hawaii nel settore alberghiero. Il sindacato nasce nel 1937 con il grande sciopero “West coast Waterfront Strike” durato tre mesi e culminato con lo sciopero generale a San Francisco e nella zona della Baia. All’epoca i/le lavoratori/trici chiedevano 1 dollaro all’ora, la giornata di 6 ore, e la settimana di 30 ore. Durante lo sciopero la polizia uccise sei lavoratori, il più giovane aveva 20 anni. Migliaia di lavoratori/trici vennero arrestat* e un altro migliaio presi a mazzate dalle forze dell’ordine. L’ILWU ha organizzato altri scioperi di protesta nel corso della storia, come in occasione dell’invasione italiana dell’Etiopia, dell’intervento fascista nella guerra civile spagnola, contro il sistema dell’apartheid in Sud Africa e contro la guerra in Iraq. Sul tema: http://www.beyondchron.org/bloody-thursday-1934-strike-shook-san-francisco-rocked-pacific-coast/