Fino a quando il razzismo non ci sarà più!

Fonte: renitente.

In questo testo racconto le mie esperienze di razzismo in svizzera. Parlo dalla mia prospettiva personale e non voglio incolpare nessunx. Per me, il problema non riguarda i documenti, piuttosto le condizioni di vita che rendono la mia vita difficile; riguarda queste cose che ti racconterò.

Ovviamente, ottenere i documenti è stato una lotta. Il mio secondo giorno qui, ero alla stazione, lì c’è una Coop sotterranea. Stavo aspettando un amico fuori, quando un uomo vecchio è uscito dalla Coop con un mucchio di spazzatura nelle mani, si è diretto verso di me e me l’ha gettata in faccia. Quella volta ho pianto e basta, non potevo fare niente, perché non parlavo la lingua e non sapevo come reagire.

Non c’è un lavoro semplice

Poi, dopo un anno di esclusione, ho iniziato ad andare ad una scuola di lingua per imparare il tedesco. Quando parli la lingua, non perfettamente, ma abbastanza da poter lavorare, vai al “temporärbüro” ed ogni volta loro ti dicono che non parli svizzero-tedesco e che le persone eritree sono pigre. Comunque, ho mosso il culo per arrivare fino a lì ed alla fine ho trovato un lavoro in una fabbrica. Mi aspettava un periodo tosto. Mi dissero che ero bravo e qualificato, ma io dovevo sempre fare le pulizie e le altre persone facevano le cose difficili. Mi dicevano che le altre persone dovevano imparare e fare dei progressi. Ad un certo punto accetti questa cosa. Però il capogruppo non mi chiamava mai per nome, mi diceva sempre: “africa”. Io gli dissi che se voleva parlarmi, poteva chiamarmi col mio nome – l’Africa è un continente, non è il mio nome – . Ricordo che un giorno, un venerdì mattina, andammo nella stanza per fumatori e lo salutai: “guten Morgen”. Lui rispose: “guten Morgen, negro”. Io gli chiesi: “Perché parli così?”, lui disse: “Perché sei un negro”. Risposi: “Innanzitutto non sono un negro, ed in secondo luogo è offensivo. Non puoi dire che qualcunx è negro, forse anche a te farebbe male come se ti dessero un pugno in faccia. Lui disse: “Oh, era uno scherzo”.

Gli ho spiegaato che non era divertente e che dovevamo stabilire dei limiti. Nessuno ha il diritto di chiamarmi negro. Non è qualcosa di negoziabile. Sarei uno stupido se io discriminassi qualcunx per il colore della pelle o l’orientamento sessuale. Perché t’importa tanto il mio colore? In fin dei conti, non ci sono razze in questo mondo. Non è come 100-200 anni fa quando gli europei vennero in africa e fecero quel che volevano. Oggi è diverso. La tua bianchitudine non ti dà il diritto di offendermi.

Però non ho voluto impazzire

Ogni volta che mi sedevo fuori da casa mia, la gente che passava mi guardava come se fossi qualcosa di diverso. Come una scimmia o qualcosa del genere. Sono nero e mi siedo fuori casa. Mi guardano come se fossi diverso. Non si aspettano che le persone nere lavorino o vadano a correre. Ci vedono solo da una prospettiva cattiva: vendiamo droghe, facciamo cose brutte. Non ci vedono come brave persone. Questo è quello che vorrei dire: “Sì, ci hanno dato l’opportunità di vivere e di avere i documenti. Qui non abbiamo problemi economici. Però per me la cosa più importante è mantenere sana la mia mente.

Spesso i/le mie/i amicx mi chiedono: “Perché devi dire qualcosa?” (quando la gente è razzista). Io dico sempre qualcosa. Non voglio essere arrogante. Se hai fatto un errore la prima volta te lo farò notare, la seconda volta mi arrabbierò e la terza volta è il mio limite. Non puoi dire che è stato un errore. Uno sbaglio lo fai una volta, se lo fai più volte vuol dire che è una tua abitudine.

Un pensiero che possiamo cambiare

Un sacco di mie/i amicx hanno avuto le stesse esperienze. A me quelle cose capitano forse due volte l’anno. (…). Ad esempio per mio fratello -lui faceva l’ingegnere meccanico in svizzera centrale, l’unico con la pelle non bianca su 200 in questa azienda. Dato che non poteva più sopportare gli insulti razzisti si è trasferito negli stati uniti. Ora lì se la passa meglio. Nell’azienda qui in svizzera lui aveva messo la foto di una scimmia sul suo armadietto e il capo gli chiese il perché. Lui rispose: “quella è per mostrare ai colleghi com’è fatta una scimmia vera”. Il capo gli disse che semplicemente “doveva solo avere pazienza, fino a quando il razzismo non ci sarà più”. Per questo motivo mio fratello ha poi lasciato il paese.

Per me il razzismo è quando qualcunx non rispetta le persone a causa delle loro origini. Questo è un pensiero che possiamo cambiare. Come un mio amico, lui è cresciuto ad Entlebuch (LU). Sua madre gli aveva sempre detto che le persone nere erano cattive e pericolose. Ma lui è cresciuto con un ragazzo del kongo e sono diventati amici per più di 20 anni.

Se sei cresciutx in una società come questa

Un’ultima cosa di cui vorrei parlare è la profilazione razziale1. Una volta, mi è capitato che la polizia mi fermasse per strada davanti a tuttx, controllando tutte le mie cose. C’era un ragazzo giovane che era seduto lì vicino e lui ha chiesto alla polizia: “perché lo state perquisendo? È perché lui è nero?”. I poliziotti non hanno risposto, ma credo che si siano vergognati. Il giovane ragazzo ha chiesto ai poliziotti di perquisire pure lui, ma loro non hanno osato. Mi sono sentito un po’ meglio, ma è stata l’unica volta in cui qualcunx è intervenutx. Oppure una volta che ero in un campeggio scolastico, l’insegnante disse a me e ad un altro ragazzo africano di pulire il cesso per tutta la settimana. Voglio dire, anche quello è racial profiling.

Certe volte mi chiedo: “perché stiamo facendo questo?”. In questo momento, io non credo nel cambiamento. Se sei come un robot, puoi cambiare la programmazione. Ma se sei cresciutx in una società come questa, io penso che ci voglia una generazione per cambiare. Io penso che è meglio se insegniamo qualcosa alla nostra prossima generazione.

1Dall’inglese racial profiling: pratica di categorizzare le persone in base a caratteristiche “razziali” od etniche, in modo particolare da parte degli sbirri, guardie di confine, ecc…

Traduzione dell’articolo Until racism stops, dal giornale multilingue renitente – critical texts against the swiss migration regime, nr 1, giugno 2017.