Ogni politica migratoria è politica di segregazione e sfruttamento.

Autore: Collettivo zapatista lugano

Il caso dell’avanguardia svizzera.

“Le frontiere non sono più solo linee punteggiate sulle mappe e guardiole doganali, ora sono muraglie di eserciti e poliziotti, di cemento e mattoni, di leggi e persecuzioni. In tutto il mondo di sopra, la caccia all’essere umano si incrementa e si affanna in sporca concorrenza: guadagna chi più espelle, imprigiona, assassina”.

I muri sopra, le crepe in basso (a sinistra). Subcomandante Insurgente Moisés, Subcomandante Insurgente Galeano


Buon pomeriggio, compagne, compagni presenti al CIDECI.

Prima di tutto un forte abbraccio a tuttx coloro che sono statx colpitx o che hanno vissuto i pesanti terremoti di queste settimane. Ci hanno preoccupato parecchio i racconti degli amici e delle amiche, dei compagni e delle compagne di questo paese già duramente toccato dai morti e dai/dalle desaparecidos della narcoguerra, dal razzismo e dai rimpatri forzati alla frontiera nord e da una situazione economica e sociale fatta di sfruttamento, privatizzazione, repressione, saccheggio ed espropri. Ma questi racconti ci dicono anche che tutto questo non riuscirà a rompere la dignità, la solidarietà, l’amicizia e la tenerezza di queste terre, a cui sempre guarderemo con complice gratitudine.

Siamo un piccolo collettivo di lotta e di solidarietà attivo dal 1996 nella parte italiana della Svizzera. Da queste parti ci diciamo “il Sud delle Alpi”. Abitiamo una terra di frontiera, situata tra le alte montagne che vediamo volgendo lo sguardo a nord e le brezze marine che improvvise ci avvolgono da sud. Territorio piccolo e denso di contrasti, legato da un’identità “bastarda” e particolare, intrappolato tra l’origine e cultura italofona e una certa sudditanza verso la parte germanofona d’Oltralpe.

Tra i laghi, i fiumi e le valli di questo paese, la frontiera è da sempre parte della quotidianità delle genti: barriera sicuramente fisica ma anche e sempre più rappresentazione mentale, essa delimita gran parte di un territorio che da un passato contadino di povertà ed emigrazione, è ormai diventato spazio privilegiato di denari, accumuli ed esclusioni. Un centro di potere bianco e maschio, fatto di banche, affari, speculazioni, intrecci, trame e sperimentazioni, dove prende forma uno dei laboratori internazionali del controllo e della sicurezza internazionale. Qui, nella sicurezza del compromesso della pseudodemocrazia elvetica, nei luoghi di divertimento e di facoltoso turismo privilegiato, le nuove tecniche di gestione della folla e delle migrazioni si fanno avanguardie delle politiche di securizzazione e di respingimento in Europa.

Qui ci fecero un deserto e lo chiamarono pace. Qui ci fecero una prigione e la chiamarono accoglienza.

Forse Tacito farebbe parlare così oggi il suo Calgaco, per descrivere i nuovi orrori di quest’Europa divenuta fortezza. Un’Europa – il cui passato coloniale non smette di diffondersi – alle prese con lacerazioni e mutazioni sempre più profonde. Un’Europa che arma la propria guerra contro i poveri e gli indesiderabili del pianeta, appaltando la sponda sud del Mediterraneo a una serie di boia come Al Sisi, Al Serraj, Erdogan e Nethanyau.

La Svizzera non fa eccezione in tutto questo. Nonostante una retorica “antieuropeista” delle destre xenofobe, questo minuscolo pezzo di terra esprime il meglio di queste politiche: chiusura alle frontiere, controlli sistematici su basi etniche, post apartheid, deportazioni assassine, sicurezza privata, droni, militarizzazione dei territori e prigioni specializzate.

Nel gergo politico democratico, questa, la chiamano “accoglienza”.

E proprio una di queste frontiere, quella più a sud, è diventata uno degli snodi europei di sperimentazione “transfrontaliera” dell’esclusione. Da una parte il governo italiano e dall’altra la democrazia elvetica. Alla stazione ferroviaria di Como-Chiasso, entrando in Svizzera, esiste di fatto una vera e propria barriera che divide in due gli esseri umani: chi è bianco e chi non lo è. Se sei bianco passi. Con tutte le altre sfumature di colore vieni controllatx, perquisitx, portatx nei centri di registrazione, respintx. Una pratica di discriminazione razziale, dove le persone sono divise e controllate in base al colore della pelle! Dove succede che, per sfuggire all’ennesima umiliazione, rischi la vita, come avvenuto con Diakité Yoursouf, vent’anni, africano del Mali, che l’inverno scorso è morto folgorato mentre cercava di salire su un treno per passare di nascosto la frontiera.

O come avvenuto alcuni anni fa, proprio attorno allo scoppio della guerra civile siriana, quando il governo elvetico dispose l’allestimento di vari bunker militari in disuso (nei pressi di alcune zone di montagna) per “accogliere” le persone migranti senza diritto di asilo. Nell’estate-autunno 2013 nell’ex bunker militare del Passo del Lucomagno (2200 metri d’altitudine!) furono internate sottoterra tra le 40 e le 70 persone provenienti dal Senegal, dalla Sierra Leone, dalla Nigeria, dal Maghreb, dall’Afghanistan e dal Pakistan, in condizioni climatiche estreme, in totale isolamento e in condizioni di stretta sorveglianza. Con l’unica colpa di non possedere documenti “utili”.

Eccola la decantata politica migratoria svizzera. Quella che indica la via da seguire, paladina dell’accoglienza e dell’integrazione ai propri valori ma che a ben vedere non è nient’altro che una politica razziale, paternalista e classista. Una politica lontana dalla tanto decantata neutralità che si sceglie attentamente i propri alleati e i propri interessi: dal business della guerra, al commercio di armi, all’esportazione di democrazia, allo scambio di tecnologia privilegiata.

Prendiamo come esempio Lugano, terza piazza finanziaria svizzera, una delle città più ricche al mondo, dove quasi il 50% degli aventi diritto vota a destra – quella economia e/o quella pura e dura della supremazia bianca. Una città elitaria che nel corso dei decenni ha perso tutta la sua componente “popolare” ed è ora composta quasi unicamente da banche, fiduciarie e casinò. Dove si pratica un costante riciclaggio di denari, con un altissimo tasso di consumo di cocaina e di psicofarmaci e una percentuale molto alta di suicidi, poliziotti e telecamere di videosorveglianza. Una città che fa della sicurezza, del controllo, dell’esclusione, della caccia “al diverso” le sue priorità principali. Che si è scelta con attenzione i propri partner economici e finanziari internazionali: dal governo Peña Nieto (recentemente invitato in Francia per gli accordi sulle polizie e armamenti tecnologici e poi al contestato G20 di Amburgo) – con gli ambasciatori messicani invitati a più riprese (e pesantemente contestati) a eventi culturali e incontri ufficiali – alla stretta collaborazione con lo stato di Israele: probabilmente il perfetto alleato commerciale, con accordi che vanno dall’industria tecnologica, a quella alimentare, dagli armamenti, al turismo e… al razzismo securitario.

Non è infatti un mistero che le politiche migratorie europee rappresentino enormi interessi di controllo geopolitico e grandi opportunità di business. Anche in questo caso la Svizzera e i propri centri di potere quali Lugano, oltre a sdoganare le politiche migratorie europee (Frontex, Dublino2, ecc.), appoggiano apertamente le politiche dello Stato d’Israele e diventano una vera “start-up nation” dove – attraverso la creazione di settori di mercato per agenzie di sicurezza private, ONG, ditte per la logistica e l’arredamento, industrie dei trasporti – importare modelli di post apartheid, di militarizzazione del territorio e di sfruttamento delle marginalità, in una sorta di “israelizzazione delle frontiere”.

L’emergenza migranti diventa così il bottino politico dello sfruttamento capitalistico sugli ultimi e sulle ultime.

Come Collettivo Zapatista, parte della piattaforma internazionalista LaPirata, riteniamo fondamentale e imprescindibile proseguire con la pratica costante della solidarietà. Non solo come appoggio monetario, e/o di strutture e materiali, ma quella che vuole mettersi in gioco, che scardina i meccanismi della macchina. Una solidarietà che si mette in prima fila nella lotta contro le frontiere e i suoi dispositivi, contro l’isolamento e i muri, che difende i territori, praticando autonomie e autogestioni, rispettando le differenze e le diverse geografie, ascoltando e camminando al passo di coloro con cui intende praticare tali lotte.
Per noi l’esperienza della solidarietà, quella che abbiamo il privilegio di poter fare nel cuore della bestia, deve essere elemento fondamentale che si oppone alla ricolonizzazione d’intere parti di mondo. Solidarietà significa anche seguire e diffondere l’esempio delle lotte di autonomia e di resistenza dei tanti territori e popoli messicani e nel mondo. La solidarietà avviene qui e ora, come questi fondamentali momenti di discussione, confronto e analisi, organizzati oggi al CIDECI, nel tentativo di generare ulteriori affinità e complicità. Anche perché, non è scontato ripeterselo, la macchina politica di distruzione e accumulo sempre ben affinata, qui come altrove, va individuata, riconosciuta e distrutta al più presto.

Vi ringraziamo dell’attenzione,
saluti e abbracci libertari

Collettivo Zapatista di Lugano (CZL)